COLONEL PANICS, di Cho Jin-seok

In un pseudo-futuro imprecisato, viene lanciato sul mercato un gioco di realtà virtuale che ti permette di vivere la vita di una persona realmente esistente attraverso i suoi occhi. Così, attraverso gli occhi di un programmatore freelance che deve riparare un bug, vediamo la vita di Kaito, giornalista deluso e deludente con diverse depravazioni sessuali che...

Avete presente quanto faccia figo negli ambienti cinefili citare quei film che nessuno - ma dico, proprio nessuno - conosce? Ecco, Colonel panics allora credo faccia proprio al caso vostro. Citatelo e la trombata è semi-assicurata.  

Al momento, credo sia l'unica utilità che questo film abbia.

Battutacce a parte, per quanto la battutaccia contenga al proprio interno una parte di verità in ogni caso, Colonel panics è uno di quelle pellicole dove non capisci se il problema o la mancanza stiano in te o in quello che hai guardato, perché finisci la visione con una sensazione di aver visionato uno spettacolo monco di parti importanti. 

Tra l'altro, è un film che ha fatto parlare solo con un trailer con una donna nuda molto evocativo. In rete non si trova quasi nulla in merito e, lo ammetto, pur avendolo visto solo ieri sera, mi servivano delucidazioni sulla trama...

Ed è un film che dura ottanta minuti.

Senza contare che posa le proprie basi su un concetto già visto e stravisto, eppure a parte quelle sequenze del trailer, non mi è rimasto molto altro addosso, se non un senso di confusione e pasticcio ogni tot, per un film che nella sua piccolezza cerca di essere il più ambizioso possibile - senza però riuscirci. E le cose da dire ci sono eccome, ma tutto risulta così confuso e "messo lì" che a una certa ho proprio perso le speranze e mi sono arreso, arrivando stancamente alla fine.

E ricordo, duro ottanta minuti, che mi sono pesati come un macigno.

Il regista-sceneggiatore Cho Jin-seok è coreano, solo che ha messo radici in Giappone. Questo film è stato coprodotto con l'Australia, rendendolo un mix, così come i generi che vorrebbe racchiudere al proprio interno.

Perché カーネルパニック prova a mischiare tutto quello che la fantascienza e il cinema giapponese sono stati. Ci sono le inflessioni dello spaesamento sociale, la violenza, il peso dell'individualità che fa parte di ogni paese asiatico e pure una ventata di nazionalismo, così come la riflessione su quelle che sono le emozioni e il divisionismo tra uomo e macchina. Insomma, cose che da Tsukamoto a Oshii sono diventato perno di ogni narrativa del Sol Levante che si rispetti, ma che qui appaiono goffe, stanche, incollate male tra loro e con molti spunti che però rimangono dei momenti anche belli isolati dal resto.

La fantascienza non è abbastanza dettagliata per essere definita tale e le parti del mondo reale sono anche lì definite con un tratteggio di grana grossa. Vediamo questo uomo che, da quanto ci fanno capire i poster sulle sue pareti, sognava una carriera grandiosa nel mondo artistico ma che si è ritrovato a vivacchiare in un contesto a dir poco triste e nel riflesso di un vecchio amore. Ma non c'è trasporto, nulla che faccia sentire partecipi col dolore dell'altro, per una situazione che si è già vista e che esplode quasi per un nonnulla.

Verso la fine c'è una scena dove si parla di Kafka, e il personaggio dice che non è che abbia amato quell'autore, quanto ne abbia più che altro apprezzato lo stile.

Ecco, credo che il senso del film stia proprio lì.

Kafka (uno dei miei scrittori preferiti di sempre, tra l'altro) per me è uno di quegli autori che si leggono per la tristezza e il senso di disperazione che riescono a trasmettere. Scrittore dallo astile grandioso, verso, ma passa in secondo piano in mezzo all'impotenza che riesce a darti. Soffermarsi su quel particolare, sullo stile, vuole dire non aver capito proprio nulla del boemo e della sua "poesia", ed è proprio lì il senso del film, o almeno, quello che mi pare abbia voluto trasmettere: quello di un mondo quasi cybernetizzato anche negli affetti e nell'arte, dove pure chi dovrebbe parlare all'anima delle persone si soffermi sul pragmatismo - che, ricordo, è (p)arte integrante della società orientale.

Tutte cose molto belle, peccato che non si riesca a gestire una parte cyberpunk che barcolla in maniera vistosa e si metta tutto in caciare con omicidi prevedibilissimi - si sfocia perfino nella necrofilia, giusto per non farsi mancare nulla nell'armamentario - e una gestione dei personaggi che avrebbe meritato una sensibilità maggiore nella scrittura.

Cho Jin-seok non è proprio una cima come scrittore, ma ha saputo ricreare delle sequenze lisergiche davvero degne di nota... che però restano dei momenti a sé che si mangiano tutto il resto. E il dualismo tra Kaito e l'hacker è, come tutto il resto, gestito malissimo - sono interpretati dal medesimo attore.

Peccato, perché un poco ci speravo, ma lascia la stessa sensazione di rileggere i dialoghi dopo aver fatto sexting. E lì puoi avere pure lo stile di Kafka, ma... 






Commenti

  1. Sballato sì, forma meglio del contenuto, ma non mi è dispiaciuto.

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    1. Raramente 80 minuti mi sono sembrati tanto lunghi ed "eccessivi"...

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Ragazzi, mi raccomando, ricordiamoci le buone maniere. E se offendete, fatelo con educazione U.U

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