LUTON, di Michalis Konstantatos

Le vite di Makis, gestore di un negozietto, Jimmy, studente che a scuola ha qualche problema, e Maria, avvocatessa, proseguono senza nulla di esaltante, in un paese sull'orlo della bancarotta. Ma è davvero così? 

Paese che vai, usanze che trovi. Passione che ripieghi, mode che vengono. Perché che anche nel cinema ci siano le mode - il biancoenero, il formato, ecc - è più che assodato e si ripresenta con continuità nel corso degli anni.

Se penso che tempo fa andavano di moda i cinemi coreani, comincio a sentirmi vecchio.

Alla fine è toccato pure al cinema greco farsi valere e, diciamolo pure, è stato per lungo tempo trascinato dal nome di Yorghos Lanthimos - uno così lo consigli a tutti o consigli a lui uno bravo - divenendo a conti fatti la moda di un piccolo periodo del decennio appena trascorso.

Si trattava di un cinema ho adorato perché aveva tutto quello che serviva per piacermi. Simile a quello coreano negli intenti, ma totalmente opposto per quella che era la mera esecuzione. Dove i coreani orpellavano e cercavano la bellezza visiva a tutti i costi, i greci mettevano la secchezza di un certo classicismo e, più che all'estetica della violenza, adoperavano l'eviscerazione dell'atto in sé come compensazione di un male sociale.

Le differenze erano principalmente queste, grossomodo.

Tante parole per dire che ci piace il disagio.

Partendo da questo ed evolvendo il discorso, per un periodo i figli di Zeus hanno dominato i festival di mezzo mondo, facendo scuola e creando una specie di corrente interna che purtroppo sembra aver già perso la propria presa - e Lanthimos ora lavora per gli americani, chiamalo scemo.

In tutto questo mi chiedo perché nessuno si sia mai sfangato più di tanto Luton

Si tratta dell'opera prima di Michalis Konstantatos, tizio che dopo essersi soffermato all'ufficio anagrafe per una settimana a causa di una difficile trascrizione del proprio nome a causa di un'errata verifica delle doppie, è piombato in un anonimato che davvero non so spiegarmi. In piena pandemia è uscito il suo secondo film, più di cinque anno dopo il proprio esordio, e non ne avevo saputo nulla. Pure questo Luton sembriamo averlo visto io e altri due gàtes.

Si tratta di un film a metà, perché racchiude tutto quello che ha reso il cinema greco la rivelazione che fu e ne fa una summa, adoperandosi però su territori quasi agli antipodi di quelli percorsi dai suoi illustri colleghi.

Perché si parla sempre di disagio, poca voglia di vivere, alienazione e violenza, ma tutto è meno pesante, urlato e, anche nella rivelazione finale, non si eccede mai come si è visto prima dalle parti elleniche. C'è un autocontrollo assurdo nelle riprese di Konstantantantantatos, eppure tutto quello mostrato dagli altri c'è. E' lì che ci guarda e ce lo mostra senza pietà.

Il fatto è che dove gli altri sceglievano l'iperbole, lui resta fortemente ancorato al reale e alle parentesi di quell'eccesso a cui la cinematografia è collegata. 

Il termine "bella regia" credo di possa tranquillamente etichettare alla prima parte del film, constatando che un bravo regista è in grado di farti sorbire di tutto. Se vogliamo trovare un difetto al film, diciamo che i quaranta minuti iniziali girano davvero troppo intorno a sé stessi, ma lo fanno talmente bene nel non mostrare il nulla da tenerti ugualmente attaccato allo schermo. Anche perché seguendo le tre non-gesta del trittico di personaggi, si evince che ci sia qualcosa che non va.

Lo fa con pochissimo... un personaggio che entra nell'inquadratura quando tutti gli altri se ne sono andati, la stessa staticità delle riprese, un piano sequenza infinito che non porta a nulla oppure in un dettaglio offuscato sullo sfondo.

Nemmeno il raccordo finale è particolarmente originale, ma è come lo mostra.

Un montaggio incrociato da mal di testa per un vortice di immagini che racchiude tutto quello visto prima e dà finalmente un senso a molti pezzi che sembravano slegati.

Konsta... lui, insomma, mostra un paese non tanto sull'orlo di una crisi economica, quanto sociale, dove la rabbia repressa viene fatta sfogare nella peggiore delle maniere sugli ultimi, vittime di trovarsi per caso davanti al cammino di chi deve sfogare l'umiliazione quotidiana a cui la società lo ha sottomesso. 

E' un film inquietante proprio perché non mostra nulla di esagerato, ma somma tutte le piccolezze quotidiane che portano a rompersi come l'uovo nella locandina. E lo fa con rigorosa accuratezza e autocontrollo.

Lo stesso che si cerca di avere nella vita di tutti i giorni prima di esplodere.






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