SICCITÀ, di Paolo Virzì

A Roma non piove da tre anni e il paese è sotto corte marziale per fare riserva d'acqua. In questo scenario apocalittico si smuovono le (dis)avventure di un pugno di personaggi, aridi in un ambiente arido...

Lo ammetto, sono uno di quei tipi che ha sempre desiderato stare sul cazzo alla gente. Una folla che mi applaude? I cinque virili e maschi negli spogliatoi di calcetto? Macché. Sotto sotto, ho sempre invidiato quelli che, qualunque cosa facciano, scatenano orde di commenti inaciditi e disgustati.

Destino beffardo, mi ritrovo a essere invidioso di Fedez, dei Måneskin e di Virzì.

Seriamente, io non capirò mai cosa vi ha fatto 'sto tizio. Che non sarà Monicelli, ma nemmeno quella sozzura vivente che dicono in molti - al netto che ad alcuni suoi film, tipo Caterina va in città, sono molto affezionato per motivi personali. Anzi, penso proprio che quello che hanno definito Siccità il suo miglior lavoro, nell'elogiarlo abbiano voluto lanciargli comunque contro la perculata.

È un buon film, forse quello più cupo (ironico, dato che è ambientato quasi tutto nelle giornate assolate) del regista livornese, ma non il suo migliore. Statece,

Posto che il nostro ha una filmografia più che dignitosa, sempre per me.

Tra l'altro, prosegue nel suo intento di farsi portavoce di un ultimo spiraglio di commedia all'italiana, ma questa volta prendendo proprio dal passato recente, rielaborandolo, ed evitando quel (quello sì, sicuramente) a tratti fastidioso manicheismo sociale dove i ricchi sono tutti delle merde e i proletari dei cuoricioni.

I ricordi di Facebook mi hanno riproposto il mio pensiero di due anni fa, dove mi domandavo come avremmo esorcizzato questo periodo pandemico nell'arte e nell'intrattenimento. A distanza di tempo stanno uscendo diversi prodotti a tema Covid e lockdown, e questo film, precedendo di molto molti colleghi che non volevano per forza citare l'anno bisesto, ne fa un'ideale parodia, volgendo su un altro commento scottante: il surriscaldamento globale.

Perché periodo che vai, emergenza che trovi.

A tratti rimpiango quando il pericolo era Salvini al governo, giuro.

Comunque, i flashback sono potenti. Annunci ai tiggì, regole da seguire, polizia che intima cose... e tutte le conseguenze sociali che una simile catastrofe può avere. Con tanto di gente che si lancia a esempio sui social, malcontento e disuguaglianze sociali, insieme a neo star televisive ed esperti irretiti dalla popolarità.

Non c'è trippa per gatti. Virzì ha raccontato di come l'idea gli sia venuta in mente durante il periodo del lockdown e la cosa si vede. Tutto riconduce, con le dovute modifiche drammaturgiche e metaforiche, a quei giorni di segregazione, tanto che alla lunga tutto sembra una lista di fatti ed eventi esacerbati dal tamtam mediatico, diretti però con la classe di chi il cinema lo fa da tempo, alla propria maniera, e più di una volta molto bene.

Siccità è un film cinico che, per una volta, non mette nessuno sguardo consolatorio nella vicenda che narra, mostrando senza troppi complimenti un inaridimento climatico ma anche interiore, mostrando un'umanità che ha perso la bussola da molto tempo, ben prima della siccità mostrata.

Non è da meno un'accusa politica anche verso quella parte del welfare che ha finito per mischiarsi, fino ad assomigliare pericolosamente, alla controparte avversaria che avrebbe dovuto combattere, rimprovero a una classe politica vicina agli ultimi solo di facciata ma infighettata ormai in salottini detestabili.

Avrebbe potuto essere il film definitivo sulla faccenda, ma diamo a Cremonini quello che è di Cremonini, come diceva qualcuno.

Virzì, attingendo proprio da quella tradizione di cui è ultimo testimonial, costruisce una storia corale dove tutti i collegamenti avvengono in maniera naturale e non sempre prevedibile, regalando anche dei momenti degni di nota (Silvio Orlando uber alles!) ma, purtroppo, trattenendosi anche nella critica, non mostrando mai una vera e propria cattiveria.

Così anche i personaggi, per quanto funzionali, non godono di un necessario approfondimento vista la quantità e il tempo mediano necessario per il trattamento e lo sviluppo di ogni storyline.

Ma quella pioggia finale, preludio a un alluvione biblico o forse il sollievo sperato, inumidirà dei corpi che hanno compiuto il loro percorso disumanizzante, lacrime su un futuro che nonostante tutto e tutti i tentativi sembra già macchiato e segnato irrimediabilmente.

Un film onesto, diretto con classe e interpretato al meglio - Bellucci a parte. Non il discorso finale su un tema che ci riguarda tutti, ma una postilla sul passato e una non banalissima avvisaglia sul futuro.

Roma fotografata come il Messico del film americano medio, però, fa uno strano effetto.






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