ALICE, di Jan Švankmajer
Così scriveva Anthony Lane sul The New Yorker a proposito del nostro, un pazzo furioso che coi sui corti ha saputo ritrarre con divertito cinismo l'uomo moderno e le sue sfaccettature (vedasi cose come Lunch, Passionate discourse o Flora) con uno stile che ha fatto scuola nel settore dell'animazione sperimentale.
Peccato il suo nome non sia mai celebrato quanto meriti. Pochi sanno si dedicò anche al lungometraggio, senza mai abbandonare la tecnica e gli stili che lo resero famoso - oltre che il più condiviso dagli hipster su Facebook, quando quel social aveva ancora valenza.
Tra l'altro, il suo "secondo esordio" avvenne nel 1988 col libero adattamento di Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Charles Lutwidge Dodgson Lewis Carrol. Ne cambiò pure il titolo, dato che la traduzione esatta dal ceco (non il braille... ok, la smetto) è Qualcosa da Alice, che dice già tutto e fa capire dove lo sguardo del nostro intendeva spostarsi rispetto alle versioni ben più famose che lo avevano preceduto.
Da una parte, un adattamento imprevisto e inaspettato, dall'altra invece quasi la naturale prosecuzione del suo lavoro, giacché l'opera dell'assurdo ne descrive bene la visione nichilista e grottesca dell'esistenza e può volgere alla propria poetica ogni aspetto.
Alice, dicevamo.
Švankmajer segue abbastanza fedelmente la visione raccontata da Carroll nel libro, ma ci mette molto del suo. Tutto diventa mortifero, ogni cosa assume un contesto che conduce alla morte e alla necrosi. Il coniglietto diventa un essere imbalsamato che prende vita e perde segatura dalle cuciture, il cappellaio matto è un burattino piuttosto inquietante e la lepre marzolina non è che sia da meno, così come il bruco diventa un calzino con una dentiera. E le animazioni, scattose e nevrotiche come quelle del maestro ceco sono sempre state, che provano a collocarsi in un universo dai più creduto per bambini.
E sì, Alice che gira, vaga, e rende quasi problematico (non che non lo fosse stato nelle altre versioni...) che le attenzioni di tutte si palesino su una bambina che ne passa di ogni, suggerendo ben esplicitamente quella che è una delle molte leggende dietro il vero significato dell'opera - e la relativa questione sulla Liddell e l'acrostico finale nel secondo libro.
"Attieniti al testo!", dirà qualcuno verso la fine.
Anche se i tradimenti sono inevitabili. Il libro di Carrol fu una vera sfida per ogni traduttore a causa dei molteplici giochi di parole (basti pensare al racconto del topo) qui trasformati in giochi visivi, ma fa parte di tutta la trafila che il buon Jan deve attraversare per la sua visione, tanto che quella frase sembra una (mancata) dichiarazione d'intenti.
Che, ripetiamo, è mortifera, cruda, grottesca e amante del bricolage. La sua Alice sogna un "paese delle mer(d)aviglie" che prende dalla negazione dell'ascolto e dal mondo stessa che conosce, alterando il senso stesso di ciò che è reale e ciò che non lo è ancora più che nel libro, dato che l'intrusione avviene direttamente nel suo mondo, partendo da una creatura "violata" nella morte stessa, così come violata sarà Alice una volta cresciuta e avvolta nella propria crisalide.
Tra l'altro, il discorso diretto è eseguito solo dalla piccola protagonista, ad accentuare l'effetto di straniamento.
Oppure, cercare spiegazioni a un'opera tanto assurda che inquieta che è un pacere e ti tiene attaccato allo schermo solo con la semplicità delle immagini in movimento, è del tutto superfluo. Resta che Švankmejer ha preso una storia conosciuta da tutti e l'ha resa perfettamente alla propria visione, senza cedere a semplicismi o ruffianerie di sorta.
Forse alcuni passaggi live action sembrano un po' un "buona la prima" ambulante e il trucchetto dei dialoghi alla lunga appesantisce la visione, ma resta comunque un'opera che sa dare uno sguardo altro a un opera che di un altro mondo ha saputo parlarci, abbandonando ogni logica. Ma l'immaginazione si alimenta da é e da quel che vediamo, come fa la stessa Alice.
Insomma, proprio robetta...
# Hello Švank, sei pazzo come me #
Dare una vera e propria spiegazione a un film così è inutile, alla fine, scriverne ancora di più - e me ne rendo conto dopo una recensione. Voi guardatevelo e fatevi male, che poi ringrazierete. E già che ci siete, recuperato tutto il resto fatto da questo folle visionario.
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