CHAINED, di Jennifer Lynch

Il piccolo Tim e sua madre vengono rapiti da un tassista dopo un pomeriggio passato al cinema. L'uomo ucciderà la donna e costringerà il ragazzino a una lunga prigionia, rendendolo complice delle sue malefatte... 

Essere figli d'arte non è per nulla semplice, lo sa bene Jennifer Lynch. Proprio lei deve pagare un grande scotto alla vita, ovvero essere figlia del regista di Mulholland Drive... ma secondo individui molto più maligni di me deve ringraziare di essere stata concepita dal creatore di Strade perdute, pertanto è un cane che si mangia la coda. 

Ma si sa, solo in Paradiso everything is fine...

Insomma, ringrazia il cielo che sei su questo palco e ringrazia chi ti ci ha portata dentro.

Diciamo che qualunque carriera dopo Boxing Helena, film definito "ridicolo quando non è noioso" da critici ben più blasonati del sottoscritto, sarebbe grossomodo naufragata. Lei invece dopo il suo glorioso esordio in qualche modo ha proseguito, arrivando fino a una capatina bollywoodiana per realizzare una roba come Hisss -accontentatevi del trailer che di rivederlo non ho per nulla voglia.

Perché guardare questo film, allora?

La realtà è che nella comunità del cinema estremo questa pellicola gode di una piccola schiera di cultori. La nostra poi ultimamente ha avuto modo di distinguersi alla côrte di Ryan Murphy, partecipando al netflixiano biopic sul killer Jeffrey Dahmer, e diciamo che le puntata dirette da lei sono proprio quelle distintesi nel lotto della miniserie on demand.

Tra l'altro, bollare qualcuno in eterno per degli errori di gioventù è una faccenda fin troppo borghese.

Appurato quindi che televisivamente parlando la nostra ha un curriculum di tutto rispetto e che forse, quando lavora su soggetti altrui, riesce a dare prove di un talento prima nascosto, sapendo che il film è stato sceneggiato da Damian O'Donnel dovremmo rassicurare...

Spoiler: la Lynch non curò la rassi. Riscrisse tutto d'accapo per evitare di realizzare un mero torture porn come in origine, dicendo di voler indagare sulla psiche e il passato del villain, oltre che destrutturare il rapporto padre-figlio tra i due protagonisti.

E fin qui, niente da dire. Però poi lei ci mette fin troppo del proprio e, quando non è pessimo, arriva al mero dilettantismo, per una storia che da sola poteva funzionare come qualunque racconto è in grado di reggersi in piedi da solo, finendo azzoppato da una serie di colpi di coda uno più fatale dell'altro. Robe che Beaten to death a confronto è cinema d'autore...

Oddio, in realtà lo è, a ripensarci.

Lo era finché Curtain non ha voluto fare il brillante a tutti i costi mettendoci in mezzo tanta roba inutile, ma aveva stile da vendere. Qui invece si procede come una sorta di farsa, sorretti da un Vincent "palla di lardo" D'Onofrio in stato di grazia che da solo però non basta a riscattare un film nato con le migliori intenzioni ma che, nonostante tutto, risulta un residuo da cestone dell'autogrill.

Ecco, se proprio vogliamo trovare un difetto in questo Chained, sta proprio in quello che voleva elevarlo, quel suo rendere ondivago e ambiguo il rapporto tra ostaggio e rapitore, lavorando di lana grossa su un soggetto difficile già per talenti molto più scafati di quello della Lynch, che da sola riesce a dare un bignami piuttosto pasticciato di un cinema degli eccessi che in realtà tale non è, proprio perché il grand guignol lo si è voluto lasciare totalmente da parte.

Ma se non sei né l'uno e nemmeno l'altro, allora che mi diventi?

'sto chained!

Perché non è solo la questione morale, in un'epoca che da molto non riesce a rapportarsi all'ambiguità, ma anche quella sensoriale e temporale. La Lynch riesce a farti sentire lo sporco e il marcio solo spiattellandolo in poche e "caste" scene, ma anche la questione legata al tempo trascorso nel tugurio è gestito male. La cronologia dei giorni passati non viene percepita così come la resa della mente del rapito (Game of thrones con Theon Greyjoy aveva fatto di meglio, per dire) che da impaurito passa da coraggioso a vago stratega in un attimo, architettando un piano perché "ha letto l'enciclopedia" - sto serio, giuro.

Per non soffermarsi inoltre su un colpo di scena finale che si basa a documenti tenuti in tasca per anni con tanto di nome del mandante.

Tutto questo per il film della maturità della Lynch, ambientato in un Canada dove è sempre primavera, giusto per tornare alla gestione del tempo, e dove il morboso lascia spazio alla noia in più punti. 

In rete continua ad avere dei sostenitori. Io invece ancora penso a come avrei potuto impiegare meglio l'ora e mezza che mi ha rubato, aggravato da fatto che sapevo benissimo verso chi andavo incontro.

Ma vabbè, faccio tanto il moralista ora e sono qui che attendo il nuovo film di Snyder. Non faccio testo, scusatemi.

PS: se volete una figlia d'arte d'eccezione, guardate Le paludi della morte di Ami Canaan Mann.






Commenti

  1. Eppure mi hai incuriosito molto... Non lo conoscevo e lo vedrò quanto prima.
    Sono curioso anche di vedere come naufraga, a dire il vero... e immaginare come poteva essere. Tornerò a dirti.

    Moz-

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    1. Il tempo passato a togliersi una curiosità non è mai tempo perso 😉 più che altro la storia poteva essere gestita in mille modi, qui è proprio sciatto...
      Consiglio di vederlo in lingua originale giusto per D'Onofrio - pure il doppiaggio non è dei migliori 😅

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  2. Il serial killer che volle diventare padre!

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