IL RAGAZZO E L'AIRONE, di Hayao Miyazaki

Giappone, 1943. Il piccolo Mahito perde la madre durante l'incendio di un ospedale e l'anno successivo il padre si sposa con la sorella della defunta moglie, trasferendosi col figlio nella di lei tenuta. In un nuovo ambente e con una nuova famiglia, il giovane Mahito dovrà adattarsi, ma dopo l'incontro con un airone cenerino...

In queste ultime festività ha fatto scandalo la notizia di un gruppo di insegnanti che, durante una recita, hanno sostituito "Gesù" con "Cucù" per rendere lo spettacolino più inclusivo. 

Non che mi interessi molto l'evento in sé, ma si ricollega a questo film. Infatti il buon Hayao nel 2013 aveva annunciato che Si alza il vento sarebbe stato il suo testamento artistico e con un saluto appunto finiva. Il nostro ci ha ripensato qualche anno dopo e ora... 

«Cucù, eccomi qui!»

Va da sé che un ritorno come si deve va fatto con tutti i crismi e Miyazaki lo fa rimanendo fedele a sé stesso, come sempre. Ci vuole talento per rimanere saldi ai propri principi artistici, vero, ma serve altrettanta coscienza per reinventarsi senza perdere il proprio spirito. Miyazaki sr. lo ribadisce già nei primi fantastici minuti, e stupisce come un ormai giovane ottantenne sappia usare la propria arte per cercare di raccontare in modo nuovo tutto quello che lo ha sempre ossessionato.

Il ragazzo e l'airone infatti è un film di Miyazaki al 100%. Ci sono i disegni con l'inconfondibile stile dello Studio Ghibli, l'aspetto favolistico, il contatto con la natura e l'accusa alla guerra... ma è anche il film più diverso di tutta la sua produzione. Il più mortifero, quello più lento e statico, a tratti, che offre un racconto di vita estremamente disincantato e rassegnato. Mentirei se dicessi che è stato amore a prima vista, perché si tratta di una pellicola molto più stratificata di quanto possa sembrare e che cresce dentro col passare delle ore. 

Non ha la bellezza istantanea de La città incantata (vorrei ritornare dodicenne per rivivere l'esperienza di vederlo la prima volta...), l'intreccio de Il castello errante di Howl o l'epica crudezza di Princess Mononoke. Flirta con l'horror in più occasioni e, molto più che in passato, si avverte il gap culturale con l'Oriente - diversi punti credo di averli persi nonostante le ricerche, cosa che da una parte gli conferisce ulteriore fascino ma dall'altra inevitabilmente toglie a una mente vergine.

Eppure, quello che racconta è un tema universale.

Perché questo film altro non è che un'elaborazione del lutto, passando dalla realtà alla fantasia più accesa, senza però tralasciare tutta la tristezza e l'impossibilità che la tematica comporta, raccontata dal punto di vista di un ragazzino ma con una lungimiranza che solo un adulto può mettere in scena con questa lucidità. E le risposte non sempre faranno bene, soprattutto per come il sensei usa gli elementi per ribadire il contrario.

D'altronde, ce lo dice già nella sequenza iniziale dell'incendio, due minuti già destinati a entrare della storia non dell'animazione quanto del cinema. L'aspetto è deformato, l'animazione sì fluida ma i contorni mai del tutto definiti, le figure si confondono in una follia generale... qualcosa di assurdo anche per gli standard dello studio Ghibli (anche se non esteso come l'ultimo di Takahata) per mostrarci un contatto con la realtà di un bambino, quella in grado di far soffrire e rendere adulti.

Saranno due minuti che si ripresenteranno nel corso della pellicola e che cozzeranno con tutto quello che seguirà, dove a fare da contraltare ci sarà l'onnipresente acqua, che assume diverse simbologie.

Acqua che spegne il fuoco, certo, ma anche quella che conduce a un'altra dimensione. Miyazaki cita Dante e la sua Commedia in un punto, dando a mari e fiumi un aspetto quasi stigiano nel condurre da una dimensione all'altra. Nella cultura nipponica, poi, l'airone era colui che conduceva nel regno dei morti.

La morte è ovunque, non solo nei ricordi di Mahito. Miyazaki piazza trovate di inaudita crudeltà coi warawara, certificando la vita ma immettendo la morte ancora prima che questa possa iniziare. L'uno e il suo contrario, ancora una volta, e sarà un mantra per tutto il film, perché il lutto può essere sia personale che mondiale, specie quando il creato è in preda alla follia.

Miyazaki si fa beffe del Giappone militarizzato e ne crea una parodia "parrocchettizzata" nel mondo di fantasia, certamente più colorato e bello a vedersi ma pregno della stessa malvagità che imperversa nel nostro, a riprova che la perfezione non esiste e che rifugiarsi nella fantasia non è sempre la cosa giusta da fare, così come il farsi deformare dai ricordi e della tristezza. 

Non una fantasia che celebra sé stessa, ma la coscienza che l'infelicità fa parte della vita e della necessità di superarla coi mezzi che abbiamo - anche fantasiosi, certo. Proprio per questo il finale sarà volutamente anticlimatico e tronco nel montaggio.

Poi sì, ha anche delle criticità. La parte centrale è oggettivamente un gran casino e ha diverse situazioni di stallo fin troppo allungate, dove le gerarchie del mondo non sono così immediate e creano più di uno stordimento. Ma credo che queste sottigliezze vengano meno davanti alla grandezza interiore di un'opera così complessa, matura e adulta, dove tra le altre cose un autore mette dentro pure se stesso (letteralmente) come a dire ai giovani di prendere il suo posto.

Il commiato nel commiato, insomma, dove se la tiracchia pure un poco, cosa che solo i veri maestri possono fare uscendone perfettamente in piedi.

Qui Miyazaki conferma il suo status di gigante del cinema con un film di sottile bellezza, citando sé stesso in continuazione (è una summa di tutto il proprio lavoro) ma non essendo mai succube del proprio ego. Crea un mondo per celebrare il nostro, con tutte le sue storture, innalzando quelle anime in grado di poterlo migliorare.

Il titolo originale (tradotto con E voi come vivrete?) rende meglio gli intenti del sensei ed è tratto dalla novella di Genzaburō Yoshino, il libro per bambini più venduto in Giappone e caposaldo dell'educazione umanistica orientale. Anche la sua comparsa nella pellicola offre un'ulteriore chiave di lettura per un film che ne ha già moltissime.

Non sarà amore immediato, certo, bensì uno di quelli che cresce col tempo. E forse, anche in grado di farci crescere, nel suo piccolo.

PS: ad ogni modo, come mai Miyazaki a questo giro è così fissato con le deiezioni animali?






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