A WOUNDED FAWN, di Travis Stevens

La gallerista Meredith, dopo la fine di una relazione abusante, sta iniziando a uscire con Bruce... peccato che egli sia un assassino seriale di giovani donne. I due passeranno nella di lui casa in campagna, ma strane forze, evocate forse da una statua delle Erinni posseduta dall'uomo, porteranno a...

Tempo fa, spulciando nel cestone di Prime, ero capitato sul film La ragazza del terzo piano, di tal Travis Stevens. Ricordo che il film iniziava con delle riprese interne della casa che, non so perché, ma mi catturarono subito. Il problema venne quando gli attori iniziarono a muoversi sullo schermo - vabbeh, l'attore in questione era il wrestler CM Punk. Da lì in poi fu una pugnalata agli occhi costante, tantoché il fil non lo finii neppure...

Insomma, per me Travis Stevens poteva essere un grandissimo regista di interni. 

Poi però arriva A wounded fawn (letteralmente: un cerbiatto ferito), che nell'internet comincia a essere elogiato in maniera fin troppo massiccia, e il sentore che forse io abbia preso un granchio si fa bello grosso. Tra l'altro, il film è pure marchiato Shudder, che non sarà sempre garanzia di qualità estrema, ma da quella piattaforma è uscito quella bombetta che è uno dei miei nuovi film preferiti - si What Josiah saw, sto parlando di te.

Morale della fiaba: già dopo cinque minuti ero convinto.

Ora, io non so se avessi iniziato a vedere il film d'esordio di Stevens (che ha comunque diversi cultori) in un brutto momento o se l'aver fatto un altro film in mezzo abbia dato punti esperienza, insieme a un budget più cospicuo, ma qui siamo davvero a livelli piuttosto alti. Ma soprattutto, è un film divertentissimo che non lascia un momento di tregua per tutta la sua durata.

Che è di novanta minuti...

MADONNA SANTISSIMA LA DURATA PERFETTA!

Questioni di metraggio a parte, il film possiede tutta una sua veste particolare. Stevens dimostra di non essere uno sprovveduto e, forse conscio che Shudder comporta un numero di patane maggiore, si toglie lo sfizio di girare tutto il film in pellicola 16mm. Il che vuol dire che i colori e la loro porosità, soprattutto nelle tonalità che fanno da contrasto nelle scene più buie, risaltano come non mai. Inutile girarci intorno, non è neppure questione di nostalgia canaglia, ma la pellicola batte il digitale per quella che è la resa scenica e la profondità dell'immagine. Questo film ne è la prova cristallina, giacché solo con le atmosfere riesce a portare a casa metà del risultato.

Il resto sono trovate, una più casereccia e morbosa dell'altra, che stravolgono una storia (dall'esito prevedibile, visto il prologo anticipatore) che altro non è che una narrazione di vendetta femminile su un uomo spaventato dall'essere superato dal sesso opposto. 

Bruce sclera quando a un'asta una donna gli ruba il maledetto manufatto, non riesce a reggere il confronto con Meredith e usa la casa in montagna come sostituto freudiano per fare colpo su di lei. Le altre, invece, hanno paura di essere ammazzate.

La differenza sta qui.

Stevens dimostra di essere estremamente legato alla questione femminile con un trittico che nella figura della donna ha il proprio epicentro (oltre al primo, c'è Jacob's wife, il capitolo di mezzo) e qui si dona alla parentesi più lisergica di tutte, per un caccia al topo (strafatto) dove questa nuova figura horror incombe più minacciosa che mai.

Ecco, ora non per fare mansplain, ma è proprio in quello che sembrerebbe il "momento serio" (di un film che è un auto dichiarato delirio e basta) che le cose cominciano un attimo a scricchiolare, specie per tutti i sottotesti che Stevens suggerisce e poi nasconde da bravo furbone.

Tutto il film è infarcito da metafore di vario tipo, a cominciare dalle cosiddette mascotte del lungometraggio, per riportare la questione sui temi della femminilità, del riprendersi la vita (in tutti i sensi) dopo situazioni di abuso. Temi attuali e importanti, certo, che però ho trovato trattati in una maniera superficiale, e proprio perché Stevens azzecca più di un colpo, un trattamento più approfondito, anche nella figura del colpevole, sarebbe stato quasi d'obbligo.

Oltre ad essere un film divertentissimo, poteva raggiungere picchi di profondità non da poco. Perché forse l'ambiente da cui certi atteggiamenti provengono, l'humus sociale e antropologico... ecco, quello è il vero orrore, il mostro che partorisce i figli bastardi.  E quello poteva essere il dettaglio in grado di rendere questo film un grande film, non solo il divertimento lisergico che è.

Poi vabbeh, c'è anche la questione del prestito dalla mitologia greca che è trattato con una superficialità che solo degli americani potevano adottare, ma non siamo qui per farci una cultura, ecco.

Sembrerebbe non mi sia piaciuto, quando invece non ci penserei due volte a rivederlo. Per me, una pellicola che con poco rende meglio di tante altre sue sorellone ben meglio distribuite e che ringalluzzirà ogni amante del sano horror che si rispetti.

Però, proprio perché quello che tratta è un argomento che mi sta a cuore, avrei preferito anche maggior profondità. Non solo un'arthouse da hipster sotto acidi. Ma sempre meglio che ascoltare un* che si esalta per Barbie, alla fine.

PS: forse darò un'altra chance a quel suo esordio...






Commenti

  1. Visto al ToHorror, buono ma concordo con te, le esaltazioni da "Infernet" le sopporto sempre meno ;-) Cheers

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