DOPPIO AMORE, di François Ozon

Chloe è una venticinquenne inquieta che, per far fronte a un mal di stomaco di sospetta origine psicosomatica, inizia delle sedute di psicoterapia. Quando il percorso collimerà con un'intesa romantica col proprio terapeuta...

Non lo nomino spesso, ma amo molto il cinema di Ozon, tanto da averlo ribattezzato amichevolmente "il buco nell'Ozon" - per dire, ritengo il suo Nella casa una delle pellicole definitive del decennio passato.

Si tratta di una cinematografia raffinatissima, dove l'estetica ha la sua fondamentale importanza, senza però dimenticare anche una notevole dose di ritmo, compostezza narrativa ma anche incoscienza nello sfiorare il ridicolo più e più volte, senza paura di macchiarsi indelebilmente la carriera e, di conseguenza, prendersi dei notevoli rischi.

Solo uno così poteva far iniziare il proprio film con lo zoom diretto su una dilatazione vaginale. 

La vagina di Marine Vacth, non so se mi spiego.

E dopo un inizio tanto folgorante da questo Doppio amore puoi aspettarti tutto, tranne che la noia. Per assurdo, è proprio quella che a una certa fa il proprio ingresso, nonostante un inizio in grado di rapire, metterti su un cooperiano letto di pugnali e regalarti quanto il meglio del francese la celluloide abbia potuto offrire. Perché i presupposti c'erano tutti per portare a casa l'ennesimo colpaccio, così come i temi cari al buon François, che nel mischiare il thriller con una sana dose di erotismo è un maestro assoluto, e per la lunga prima parte conferma questa sua maestosa peculiarità e un occhio sempre al top della forma.

Sono stato così bravo da non scrivere topa, visto come abbiamo iniziato...

Geometrie rigorose, la maestria indiscussa di piazzare la macchina da presa nell'angolazione più singolare, giocando col montaggio in una girandola di specchi e dissolvenze che si intersecano con la scena o, come nell'incipit di cui sopra, mettere subito in chiaro che il "doppio" occhio cinematografico sarà corollato a come la pulsione sessuale (cara, da quanto tempo...) sia la motrice di ogni trama della faccenda per sondare l'interiorità dei protagonisti. Tutte caratteristica di un cinema navigato, fedele a sé stesso e che non ha paura delle sue stesse idiosincrasia, perché sono proprio quelle ad averlo impresso nell'immaginario.

Tutto è bellissimo finché rimane questo. E poco conto che la Vacth, reduce da Giovane e bella, ancora non sia in grado di reggere un intero film sulle... ehm... spalle, perché la narrazione costruita intorno a lei ha la meglio sulle eventuali carente interpretative sua e del rispettivo partner di scena.

Trovatemi un'espressione diversa su quei due che non sia un "basito/F4" o un'occhiata pallata a caso. Vi sfido.

Eppure non sono loro a trasformare il rischio per il ridicolo in un'effettiva buffonata che da un regista così navigato non ti aspetteresti, specie dopo aver posto la firma su un esercizio di sottrazione e claustrofobica ambiguità come Swimming pool. Questa pellicola è similare al suo cult con la Seigner, perché sempre di una rivelazione che sguazza nei liquidi sessuali si tratta, anche se in maniera molto più esplicita e partecipante, ma non riesce mai ad elevare i propri temi o a farsi portavoce di qualcosa di più alto di quanto già non mostri, riducendo anche l'afflato erotico a una carrellata di pruriginosità da discount perfettamente laccate ma che non lasciano trasparire il torbido che la vicenda necessita.   

Tra rivelazioni scottanti e colpi di scena pure abbastanza telefonati, Ozon porta a casa un compitino sicuramente ben fatto e volenteroso, ma che manca di tutta quella grinta che da uno della sua stoffa sarebbe lecito aspettarsi.

Sembra incredibile come delle premesse così promettenti sfocino in un'indagine da filmetto della domenica pomeriggio in grado di recare la proiezione su lidi sconclusionatamente ridicoli e dall'esito incerto, donandoci un epilogo che ha portato alla memoria l'ormai dimenticato H20dio di Alex Infascelli. Dove però il nostrano giocava su uno sperimentalismo non riuscito, ma al passo coi tempi e i modi di produzione, dimostrandosi poi pure in grado di osare in un periodo meno avanguardista di adesso, Ozon che scuse ha con mezzi e finanziamenti di tutto rispetto? Perché la sua interiorità trova concretezza solo in uno spoglio bagno di rivelazioni inutili e parentesi aperte che portano un valore nulla all'insieme a pure alle singole parti?

Anche se la parte meno credibile è una venticinquenne disoccupata che vive da sola e riesce a permettersi delle sedute di psicoterapia da 150 euro a botta. 

Diavolo di un Ozon!






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