IL SIGNORE DEGLI ANELLI: LA GUERRA DEI ROHIRRIM, di Kenji Kamiyama
Sì Peter Jackson, parlo proprio di te.
I film de Lo Hobbit sono stati qualcosa di imbarazzante, un'operazione morta in partenza dove tra fuggiaschi in odore di falla (Del Toro, un regista dovrebbe avere più ritegno!) e richieste produttive di allungare un brodo già piuttosto annacquato di suo, in un istinto suicida che nemmeno il George Lucas in enfasi da prequel, qualche singolo momento riuscito è venuto fuori. Il guaio è che non si è saputo scindere il materiale di partenza, riproponendo le atmosfere dei primi duemila in una storia che verteva sul favolistico.
Poi ci si è messa di mezzo Amazon con quella fanfiction costosissima chiamata Gli Anelli del Potere, che tutti archiviano come un ordine di Pleasure rings fatto in un momento di confusa difficoltà.
E io ero là, Gandalf, a sorbirmi tutta 'sta merda come il primo degli stronzi.
Il guaio è che per quanto il neozelandese sia stato mosso da vera ambizione e voglia di creare un prodotto artisticamente notevole, tutto il resto è stata una triste ballata per la gestione dei diritti in scadenza. Nulla di appartenente alla sfera delle muse, ma una volontà bruciata tra le fiamme dell'industria, dove le foreste della fantasia sono cadute sotto il le faide legali, gli eredi e il pugno di ferro dei produttori.
The war of Rohirrim però era un progetto verso il quale nutrivo diverse curiosità, soprattutto perché a suonare il dong dillo era un certo Kenji Kamiyama.
Probabilmente la sua fama è seconda solo a quella di Nunzio, il figlio di Mimmo il panettiere sotto casa, ma se bazzicate nel mondo degli anime (quindi, se alle superiori eravate quelli che non scopavano) forse avrete sentito parlare di lui per via delle serie Stand alone complex del franchise Ghost in the shell.
Tocca spenderci due parole...
Sicuramente conoscerete i due film a tema di Mamoru "simpaticone" Oshii (il live action con Scarlet Johansson non esiste, è stata un'allucinazione collettiva), pellicole sì bellissime e complesse, ma che andavano per fatti loro rispetto al manga di Masamune Shirow, che per quanto non lesinasse tematiche era foriere di una piacevole leggerezza . Ecco, Kamiyama, che ha messa mano anche nell'adorabile Higashi no Eden, ha avuto l'ingrato compito di recuperare le atmosfere perdute dell'opera originale, strizzando però l'occhio anche ai fan dei film animati.
Insomma, sulla carta l'uomo giusto per il progetto giusto data la serie di necessità e compromessi che fanno perdere pure i più duri erranti della strada, ma alle prime luci del quinto giorno ho guardato ad est e la venuta che mi è aspettata era ben diversa da quella sperata.
Inutile girarci intorno, La guerra dei Rohirrim è un film che fallisce su tutta la linea e, soprattutto, ha pure l'ingrato compito da non essere nemmeno così brutto da ritenersi memorabile. Non un accenno di trash, nulla di così obbrobrioso da fare il giro e diventare bello, nessuno che si chiama Martha... solo una noiosissima puntata lunga di una serie fantasy a caso dove ogni tanto piazzano qualcosa che riguarda Tolkien. L'opera di Kamiyama arraffa un po' da tutto quello che ha creato il moderno immaginario, pure da Jackson, ma resta il sussurro di un'ombra a ovest che non sa se essere una pellicola dello Studio Ghibli in carenza d'autostima o un film di Goro Miyazaki.
Ok, questa era cattiva e gratuita, lo ammetto...
L'epica non è unicamente il racconto della guerra, è l'apporre l'uomo al divino con le proprie gesta, l'esaltazione dell'unico che ispira molti e, soprattutto, la capacità di imprimere nella memoria qualcosa che potranno tramandare i posteri - anche a costo di apparire reazionaria alla sensibilità moderna. È per questo che la carica degli Eorlingas sul Pelennor ne Il ritorno del Re esalta così tanto o il punto focale dell'assedio al Fosso di Helm sia la cavalcata finale dopo l'arrivo di Gandalf. Qui cosa rimane di tutto quel discorso, a parte Helm Mandimartello che mena come un fabbro in qualcosa che rasenta l'emulazione di Bud Spencer? Sfido chiunque a ricordarsi una scena di questo film a un mese dalla visione, tanto è l'anonimato che attraversa ogni singolo fotogramma.
A ciò aggiungiamo che le animazioni fanno pure pena, e il film è costato "solo" 30 milioni di dollari. La città incantata, per dirne uno, 19. Fate voi.
In verità il progetto fu confusionario fin dall'inizio. C'era fretta di sfruttare i diritti e Kamiyama si è ritrovò a lavorare senza avere ancora un script definitivo.
Il risultato non poteva che essere un sacrificio sulla scacchiera dei personaggi risibili, dove nessuno è abbastanza carismatico da imprimersi nella memoria o da dare motivo di tifare per lui, e dove l'unica su cui viene posta la dovuta attenzione è una protagonista inventata ex novo per dare un senso di girl power di tendenza. Non che sia un male, quando fatto bene, in quanto a femminismo però faccio notare che un tizio nato sul finire dell'Ottocento ha già dato ben donde con l'iconica «I'm no man!»
Duole dirlo ma alla fine resta davvero poco da scrivere. Ciò che circonda la sua narrazione è più interessante del prodotto finito e la questione potrebbe concludersi qui, in maniera decisamente poco epica.
Signora Longari, mi è caduta sul Valaquenta!
Nulla di così terribile da farmi gridare «Fuggite, sciocchi!» ad eventuali avventori di visione, ma se cercate non tanto l'estro del mondo Tolkieniano, quanto semplicemente un film valido, vi conviene girare alla larga da queste animazioni brutte e da una storia che non ingrana mai.
Facile da immaginare un esito simile?
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