MON CRIME - LA COLPEVOLE SONO IO, di François Ozon
Ecco, proprio alla pancia stavolta si rivolge, mettendo alla berlina proprio la sensazione dello stomaco a cui molti, dalla politica o, come in questo caso, alla notizia, fanno appello per solleticare gli appetiti intimi più bestiali dei comuni cittadini.
D'altronde, politica e informazione degli ultimi anni di sono sperticate nella ricerca ossessiva di un colpevole o di un capro espiatorio, i motivi della scelta sono secondari rispetto all'esisto. Un colpevole è rassicurante perché lava la coscienza e spinge a crederci superiori in quanto facenti parte del semicerchio graziato della ruota che gira, senza neppure riflettere di essere magari fortunati poiché non abbiamo vissuto le circostanze o negli ambienti che possono portare a delinquere.
A questo poi c'è una certa morbosità, non solo italiana, del rivelare dettagli sempre più sordidi sul delitto di voga, in un valzer da ballare con la bava alla bocca che a tratti mi inquieta molto più di un horror.
Ecco, questo Mon crime non sarà di sicuro il capitolo produttivo più felice di Ozon e nemmeno il titolo per cui verrà ricordato dai posteri, ma che un film dichiaratamente minora porti a tutte queste riflessioni, diventandone specchio, è già di per sé una mezza vittoria rispetto a pellicole moto più blasonate.
Per questa sua (nemmeno troppo) velata parodia Ozon non rinuncia al suo innegabile occhio, ed è sorprendente come si dimostri padrone di così tanti registri in una carriera così ricca. Lo avevamo lasciato infatti agli asettici zoom vaginali di L'amant double per ritrovarlo qui, tra i colori pastello e il ritmo frizzantino della commedia d'antan, in una gestione di montaggio e regia così vivace da farlo sembrare un'altra persona dietro la macchina da presa, di certo non la visione fredda, lenta e seriosa del recente film con la Vacht.
Ozon non si limita a cambiare registro, ma a sposare proprio la visione del cinema che fu, con tutte le crasi possibili dovute ai necessari tradimenti della modernità (a cominciare dall'alta definizione e dal digitale) ma a supporto di quella che è una ricostruzione filologica davvero certosina. D'altronde creare una copia banale e mediocre di qualcosa riesce a molti, ma saperne trasportare lo spirito nei tempi moderni è un lavoro decisamente più raffinato di quanto sembri.
Di questa libera trasposizione dell'omonima opera teatrale di Georges Barr e Louis Verneuil (dalla quale sono già stati tratti La moglie bugiarda e Bionda tra e sbarre) resta quindi la vivacità di un cast super assortito e gli intenti, portati all'estremo con i trucchi di regia del nostro, che sa afferrare un argomento caldo nella migliore delle maniere, giocando proprio con una certa ambiguità che purtroppo ultimamente si è dimenticata tra gli slalom degli slogan e del manicheismo.
Perché se p vero che il nostro mostra la difficoltà di essere donne in un mondo di maschi predatori e inetti, alle protagoniste resta solo una cosa da fare: mandare in quel posto l'innocenza e giocare un pericoloso gioco con la colpevolezza, dato che è l'unico modo permesso a loro per emergere in una società coi pantaloni e gli affari sempre pronti a saltare fuori. Dite quel che volete, ma io preferisco una simile disamina piuttosto qualcun* che grida «Patriarcato!» ogni tre secondi.
Ozon non è mai stato il tipo della soluzione più semplice, nemmeno quando ha realizzato delle commedie, e qui, allo stato della leggerezza, riesce a fare degli assist notevoli. Non hanno il mordente delle prima opere o della commedia che lo lanciò ormai più di vent'anni fa, ma fa piacere vedere un film simile, sempre al passo dei tempi e della tecnica, con due attrici dalla chimica tanto visibile e coi tempi comici esatti al millesimo - per due protagoniste davvero ai limiti del borderline.
Soprattutto, il plauso a Nadia Tereszkiewicz, carnale e dolce quanto basta per una parte semplice solo in apparenza, che si porta un intero film sulla spalle e riesce a gestire i ritmi serrati di una commedia che non lascia spazio agli indugi.
Il finale, in linea con quanto mostrato prima, non ripulisce per nulla di quanto mostrato fino a quel punto e ne sposa la filosofia, ricordando quello del semi-dimenticato Chicago do Rob Marshall, segno che la verve non la perde fino all'ultimo.
Ozon non se ne va mai e ritorna sempre, instancabile, col suo ritmo produttivo che non perde in grammo di qualità artistica, dandoci un ritratto dolcemente spietato e che non sembra molto diverso da questa moderna voglia di apparire a tutti i costi e di elevare il nulla.
una commedia veramente incantevole (qui da noi non sappiamo farne)
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