MON CRIME - LA COLPEVOLE SONO IO, di François Ozon

La giovane Madeleine è una squattrinata attrice senza talento in cerca d'ingaggio. Quando il produttore che l'ha molestata viene trovato morto, diventa immediatamente la prima sospettata. Aiutata dalla coinquilina Pauline, avvocatessa senza clienti, cavalcherà l'onda della scandalo per risollevare la propria carriera insieme a quella dell'amica, ma la strada verso il successo è...

Gira che ti gira, presto o tardi durante l'anno Ozon ti capita sempre a tiro. Sempre fedele a se stesso pur cambiando pelle, ogni volta ispirato nonostante l'esito finale, il cineasta d'oltralpe non ha paura di osare e di creare il suo cinema cinefilo, intellettuale, fedele alle sensazioni della carne e, in misura ponderata, anche della pancia.

Ecco, proprio alla pancia stavolta si rivolge, mettendo alla berlina proprio la sensazione dello stomaco a cui molti, dalla politica o, come in questo caso, alla notizia, fanno appello per solleticare gli appetiti intimi più bestiali dei comuni cittadini. 

D'altronde, politica e informazione degli ultimi anni di sono sperticate nella ricerca ossessiva di un colpevole o di un capro espiatorio, i motivi della scelta sono secondari rispetto all'esisto. Un colpevole è rassicurante perché lava la coscienza e spinge a crederci superiori in quanto facenti parte del semicerchio graziato della ruota che gira, senza neppure riflettere di essere magari fortunati poiché non abbiamo vissuto le circostanze o negli ambienti che possono portare a delinquere. 

A questo poi c'è una certa morbosità, non solo italiana, del rivelare dettagli sempre più sordidi sul delitto di voga, in un valzer da ballare con la bava alla bocca che a tratti mi inquieta molto più di un horror.

Ecco, questo Mon crime non sarà di sicuro il capitolo produttivo più felice di Ozon e nemmeno il titolo per cui verrà ricordato dai posteri, ma che un film dichiaratamente minora porti a tutte queste riflessioni, diventandone specchio, è già di per sé una mezza vittoria rispetto a pellicole moto più blasonate.

Per questa sua (nemmeno troppo) velata parodia Ozon non rinuncia al suo innegabile occhio, ed è sorprendente come si dimostri padrone di così tanti registri in una carriera così ricca. Lo avevamo lasciato infatti agli asettici zoom vaginali di L'amant double per ritrovarlo qui, tra i colori pastello e il ritmo frizzantino della commedia d'antan, in una gestione di montaggio e regia così vivace da farlo sembrare un'altra persona dietro la macchina da presa, di certo non la visione fredda, lenta e seriosa del recente film con la Vacht.

Ozon non si limita a cambiare registro, ma a sposare proprio la visione del cinema che fu, con tutte le crasi possibili dovute ai necessari tradimenti della modernità (a cominciare dall'alta definizione e dal digitale) ma a supporto di quella che è una ricostruzione filologica davvero certosina. D'altronde creare una copia banale e mediocre di qualcosa riesce a molti, ma saperne trasportare lo spirito nei tempi moderni è un lavoro decisamente più raffinato di quanto sembri.

Di questa libera trasposizione dell'omonima opera teatrale di Georges Barr e Louis Verneuil (dalla quale sono già stati tratti La moglie bugiarda e Bionda tra e sbarre) resta quindi la vivacità di un cast super assortito e gli intenti, portati all'estremo con i trucchi di regia del nostro, che sa afferrare un argomento caldo nella migliore delle maniere, giocando proprio con una certa ambiguità che purtroppo ultimamente si è dimenticata tra gli slalom degli slogan e del manicheismo.

Perché se p vero che il nostro mostra la difficoltà di essere donne in un mondo di maschi predatori e inetti, alle protagoniste resta solo una cosa da fare: mandare in quel posto l'innocenza e giocare un pericoloso gioco con la colpevolezza, dato che è l'unico modo permesso a loro per emergere in una società coi pantaloni e gli affari sempre pronti a saltare fuori. Dite quel che volete, ma io preferisco una simile disamina piuttosto qualcun* che grida «Patriarcato!» ogni tre secondi. 

Ozon non è mai stato il tipo della soluzione più semplice, nemmeno quando ha realizzato delle commedie, e qui, allo stato della leggerezza, riesce a fare degli assist notevoli. Non hanno il mordente delle prima opere o della commedia che lo lanciò ormai più di vent'anni fa, ma fa piacere vedere un film simile, sempre al passo dei tempi e della tecnica, con due attrici dalla chimica tanto visibile e coi tempi comici esatti al millesimo - per due protagoniste davvero ai limiti del borderline.

Soprattutto, il plauso a Nadia Tereszkiewicz, carnale e dolce quanto basta per una parte semplice solo in apparenza, che si porta un intero film sulla spalle e riesce a gestire i ritmi serrati di una commedia che non lascia spazio agli indugi.

Il finale, in linea con quanto mostrato prima, non ripulisce per nulla di quanto mostrato fino a quel punto e ne sposa la filosofia, ricordando quello del semi-dimenticato Chicago do Rob Marshall, segno che la verve non la perde fino all'ultimo. 

Ozon non se ne va mai e ritorna sempre, instancabile, col suo ritmo produttivo che non perde in grammo di qualità artistica, dandoci un ritratto dolcemente spietato e che non sembra molto diverso da questa moderna voglia di apparire a tutti i costi e di elevare il nulla.

La commedia francese ha sempre avuto una marcia in più, e a volte ce lo ricordano. Anche con dei film minori come questo.






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