MAGIC MAGIC, di Sebastian Silva
Lanciata dal padre Julien ed esplosa per la sua performance nel Killer Joe di William Friedkin, ha poi collezionato presenze sì importanti, ma comunque di seconda fascia se si pensa che prima era stata in film come Espiazione e il cult Mr Nobody, accanto a nomi di lusso. Nota a margine, è stata anche uno dei miei fugaci amori cinefili.
Compare perfino nel terzo Batman di Nolan. Il ruolo? L'amica di Catwoman. Presenza stimata su schermo: due minuti a voler essere generosi. In Maleficent poi per metà del tempo si limitava a doppiare la sua (brutta) controparte in CG, senza contare la partecipazione a titoli come Horns e Sin city 2, dove veniva chiamata per mostrare le sise e basta - seriamente, le pochissime scene che la riguardano sono unicamente funzionali a quello, specie nel sequel di Rodriguez e Miller.
Insomma, un procedere recitativo che nemmeno lei si spiegava. Al momento sta facendo faville (ma anche lì, sempre come personaggio di contorno) nella serie Ted Lasso per AppleTV+, eppure il suo momento per brillare e mostrare quale splendida attrice sia lo ha nuovamente avuto in un misconosciuto film del 2013, tanto poco noto che per trovare le immagini sono stato reindirizzato su una pagina social giapponese.
Questo film è proprio Magic magic, e nessun altro titolo potrebbe essere più azzeccato di così.
Perché Magic magic è davvero un film magico. Ma una di quelle magie che non ti sai spiegare, estranee per propria natura alla nostra, e proprio per questo impossibili da capire fino in fondo. Non che sia per forza un male, ma se decidete di avventurarvi in questo viaggio, dovete essere ben consci del fatto che potrete perdervi dentro le sue ramificazioni.
Accettato questo, allora tutto è pronto.
E se spiegare l'arte è la negazione dell'arte stessa, cercare di descrivere le sensazioni lasciate invece è forse la cosa migliore. Quindi, messo da parte il mio amore verso la Temple, posso dire che mi sono perso volentieri in un film ambiguo (da quant'è che si è persa la bellezza dell'ambiguità?), morboso e in grado di lasciare addosso un disagio palpabile per tutta la propria durata. Tutto questo senza strafare, con un set ai limiti dell'anonimo, nessuna svolta di trama imprevista e un uso sapiente dei suoi attori, fattore da non sottovalutare specie per gli imprevedibili nomi coinvolti.
Perché se con la Temple caschi facile in quanto presenza magnetica (devono solo accorgersene lì a Hollywood) con Michael Cera non era così scontato. Sì, quel Michael Cera, mr Scott Pilgrim, il bamboccione eternamente incastrato nel proprio ruolo che qui assume connotati a dir poco inquietanti. Il regista Sebastian Silva si affida al più improbabile degli interpreti per tratteggiare uno dei personaggi maggiormente viscidi e squallidi che vi capiterà di vedere, in un campionario di individui che non brilla di certo per simpatia. L'ideale per dipingere la tavolozza di paranoia in cui Alicia si troverà a muoversi, sola, in mezzo a gente che non conosce, in un posto estraneo dove succederà l'irreparabile mano a mano che si andrà avanti.
Se proprio vogliamo trovare una sorta di corrispettivo di Hill house della Jackson, lo abbiamo con questo film. Perché la sua non-trama suggerisce tanto senza mai dirlo apertamente, e come gli "invasati" della scrittrice di San Francisco la nostra cadrà vittima delle propria mente... forse.
Perché in quel del Cile nulla sarà mai esplicitato abbastanza. C'è la scena sulla scogliera che suggerirà molto, diverse allusioni in cui la Temple usa il suo corpo metteranno in chiaro che c'è di mezzo una brutta storia di molestie passata, l'aborto che andrà a fare l'amica in tutta segretezza mette la questione su un altro piano ancora... e poi la storia dell'ipnosi, messa lì verso metà, riportata nei titoli di coda a mera allusione, con quella conclusione che non specifica del tutto ma lascia con ancora più dubbi insoluti.
Magic magic mostra tante carte ma il mazzo risulta sempre bello pieno. Costante della cinematografia del suo regista, resta l'incomunicabilità tra le persone, l'impossibilità di farsi capire del tutto, soprattutto a sé stessi, giocando con gli spettri dell'ansia e della percezione in maniera elegante, mai sguaiata e in grado di volgere la conclusione col minimo movimento. Ci sono così tante suggestioni in questo film apparentemente basico da renderlo gigantesco, oltre la sua stessa natura, e per questo difficile che tutti potranno apprezzarlo come merita.
E poi c'è lei, Juno Temple, novella Catherine Deneuve che in un lungometraggio estremamente debitore del primo Polanski regge un intero film sulle proprie spalle, dimostrando la propria bravura come mai più le capiterà in carriera. Se proprio, il film andrebbe visto solo per valorizzare questo talento mai del tutto riconosciuto.
Questo titolo va nella mia scelta, film particolari, quando inizio a guardarli e mi chiedo il perchè eppure non riesco a smettere, "perchè" che alla mia età sono ben consapevole quale sia, ma che durante la visione dimentico. Bello che lo hai rivalutato e ricordato . E di Juno Temple che dire: vero che non viene riconosciuta come star o come un' attrice che ha sfondato con un film in particolare o qualche trilogia di successo, la sua onesta carriera la va realizzando interpretando ruoli differenti e sempre in modo egregio. In Fargo, serie tv, dove è bravissima oltre che stupenda c'è poco da discutere sulla qualità recitativa di questa donna.
RispondiEliminaLa sensazione di "furbata" rimane sempre con titoli simili, ma è un confine labile. Analizzandolo attentamente si riconosce un grande lavoro di scrittura e di costruzione dei personaggi. Peccato non sia noto come meriterebbe, nonostante almeno tre attori famosi nel cast.
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