ROTTING IN THE SUN, di Sebastian Silva

Imparanoiato da un forte blocco creativo e deciso a farla finita, il regista Sebastian Silva improvvisa una vacanza in una spiaggia nudista gay, dove incontrerà il content creator Jonathan Firstman dopo essere quasi annegato. Il vippettino di internet, forte ammiratore del lavoro del nostro, lo convincerà a lavorare con lui, ma appena tornato a casa...  

Ogni autore degno di questo nome è ossessionato da un tema ricorrente. Cronenberg ha la carne, Burton l'esilio dei freak, Truffaut la fanciullezza e Im Sang-soo la figa. Sebastian Silva, a quanto pare, ha molto a cuore l'incomunicabilità tra le persone.

Lo possiamo capire da questo suo ultimo titolo, che ideologicamente si aggancia al più famoso (definirlo in questa maniera fa già ridere di per sé...) Magic magic, pellicola a dir poco magnifica che dovete recuperare assolutamente, solo per darle l'attenzione che merita e che le è stata negata. Stavolta le cose dovrebbero girare in maniera leggermente diversa perché la distribuzione è affidata a MUBI, la piattaforma che ti fa venire i risvoltini ai jeans, ma... qualcuno di voi l'ha mai sentito nominare? 

Come ci ha insegnato Maccio Capatonda con la sua Sconfort zone (abbastanza loffia, non trovate?), quando un artista è senza ispirazione gli restano due soluzioni: realizzare la storia di uno che non ha più idee o, nella peggiore delle ipotesi, raccontare di se stesso durante questa presunta crisi.

Se la regola aurea vale sempre, Silva doveva stare inguaiato. Fosse questo il blog di un fighetto, asserirei che la sua si tratti di autofiction, ma siccome mi vanto di possedere un barlume di serietà mi limito a dire che ha realizzato in bel film, senza rinunciare al sarcasmo tipico di quelli provvisti di talento e imbastendo una satira su se stesso e il mondo artistico non da poco, ritraendone i suoi abitanti per quello che sono realmente: dei coglioni. 

E mentre l'artista pensa a creare, c'è il "mondo vero" che in qualche maniera cerca di venirne a capo. Un mondo di persone reali con problemi concreti, che magari non hanno avuto i mezzi e che vengono quasi sempre ignorati da quello che in origine era il media più popolare di tutti.

Stephen King una volta disse: mentre voi aspettate l'ispirazione, noi pensiamo a lavorare. Così mentre l'alter ego di Silva cerca di trovare una quadra in una vita insulsa e nonsense, senza avere nemmeno lui idea su come gestire la propria carriera, c'è la sua domestica a fare da contraltare a questo mondo di gente impegnata in progetti uno più assurdo dell'altro, che vive in un festino ricorrente, ha pensieri mortiferi quando dovrebbe solo darsi una svegliata mentre lei, con tutti i propri limiti dettati dalla sua condizione, vorrebbe solo andare al benedetto matrimonio della nipote.

Ma succederà qualcosa a metà film, che non vi spoilero, a rendere tutta questa odissea una roba a dir poco assurda e ancora più caustica per come ritrae le figure ivi inserite, in un caleidoscopio di idiozia inquietantemente reale, tra indagini gestite da un influencer fattone e tutto il resto che prova a proseguire senza che gli involontari coinvolti finiscano dei guai. Ognuno di loro connesso in un modo o nell'altro al "protagonista", senza però saperne nulla.

Social media alla ricerca dell'effetto WOW costante, piattaforme desiderose di numeri e un profondo scoramento verso se stessi, ignorando di essere le ennesime pedine in un gioco ancora più grande, sono tutti i temi trattati nel film da Silva, dove però a farla da padrona è, come già detto, l'incomunicabilità.  

In una pellicola estremamente parlata, senza nessuna linea di dialogo veramente memorabile, rifulge proprio il modo in cui nessuno si esponga veramente a favore di un continuo mettersi in piazza, come a coprire la costante insoddisfazione delle loro vite. C'è solo quella donna di mezza età, piena di disperazione, a lasciare un grammo di genuinità in un mondo falso e totalmente dedito all'apparenza della quale però nessuno di accorge. Troppo frenetici, troppo impegnati e con questo mistero da risolvere, ricercare un tizio di cui forse non è mai fregato più di tanto e che magari non aveva neppure qualcosa da dire a dispetto dei propri tentativi.

Insomma, ho visto personalità molto più morigerate...

Silva non ci risparmia nulla. Cazzi in bella vista, defecazioni live già nelle prime scene, fellatio come se piovesse nella sequenza dei nudisti e tutto quello che può apparire osceno e squallido all'occhio comune, quando il vero squallore sta invece altrove, propri nel mondo dei "creativi" qui sagacemente messo alla berlina.

A cominciare da Jonathan Firstman, attore e sceneggiatore (lo avrete visto nella miniserie Ms Marvel su Disney+) divenuto comico sui social durante la pandemia, ognuno si presta a questo giochino perverso e il risultato è un film dissacrante, che magari ci mette un attimo a ingranare e a cui manca quella mortifera morbosità del precedente con la Temple, ma che una volta accettata la sua anarchia si lascia guardare e ci lascerà con un senso di vuoto non indifferente, dopo averci fatto ridere a denti strettissimi.

Perché a guardare nell'abisso non ci vuole molto. Molto peggio è fissare in Esso e vedere che nel mondo esterno le cose non migliorano poi molto, dopotutto. 

Per alcuni sarà respingente, una netta minoranza lo troverà estremamente divertente. Io mi sono fatto quattro ghignate e ho apprezzato particolarmente l'auto-ironia di questo giovane regista, che speor possa avere la celebrità che merita.

Certo che se questo suo rappresentarsi è particolarmente sincero, dopo queste belle parole mi coglie decisamente in... fallo. 






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