STRANGE DARLING, di JT Mollner

Un ragazzo incontra una ragazza, la notte poi però passa eccome e lei si trova a scappare da lui che la insegue con un fucile... ma come sono andate veramente le cose?

Man a mano che gli anni passano il fantasma del boomerismo aleggia guardingo sul tuo animo. Ieri eri quello che faceva esplodere i raudi nel cesso chimico del Gods of Metal, oggi sei quello che nella peggiore delle ipotesi scrive Buongiornissimo e nella migliore si lamenta che ormai non si può più dire nulla.

Tra l'altro, mesi fa avevo postato un frame di Cane di paglia in allegato a un discorso inerente l'ultima frignata della Gerwig e Meta me l'ha censurata perché l'immagine di Dustin Hoffman armato di fucile andava contro le linee guida. 

Merda, vuoi vedere che davvero non...

Non credo che una volta ci fosse davvero tutta 'sta libertà di dire quel che si voleva (oh, se bestemmiavi erano cazzi e santamadonnissime, mica pesche e creme), ma sicuramente erano annate molto più semplici, legate anche al fatto che forse c'era una consapevolezza decisamente minore su diversi temi sociali e umani. Adesso i tempi cambiano con una velocità a tratti insostenibile e, per quanto mi sia sempre prodigato nei miei limiti di cittadino qualunque per il rispetto delle minoranze, alle volte arrivo che la festa è già iniziata da un pezzo.

Per dire, ieri ero un maschio bianco etero CIS, che inizialmente avevo confuso con la Cinformi, adesso invece sono MBEB, Maschio Bianco Etero Basic.

E mbe(h)b?

In tutto questo pure la figura della donna è una materia complicata da trattare nella fiction.

Ne sa qualcosa il regista JT Mollner, che di donne e fattacci si era già occupato sette anni prima con Outlaws and angels, atipico western in gonnella dove non le mandava a dire, ma qui compie il passo successivo.

No, nessun invito dalla Valerio a Più Libri Più Liberi.

Se il personaggio femminile forte™ ce lo siamo già giocato con l'opera prima, la seconda deve fare il passo avanti. Come giocarcela bene però in un mondo e un'epoca dove si è già detto tutto? Ovviamente, mettendola sull'ambiguità. Il che non è semplice, perché attirarsi critiche è un attimo e giocarsi la carriera semplice come bersi uno shottino di whisky. 

Le polemiche su questo film infatti non sono mancate, ma più che un'eventuale impossibilità moderna di trattare la donna in una maniera diversa dall'eterno vittimismo che la vuole protagonista, la vera questione è l'ormai sopraggiunta incapacità di gestire l'ambiguità.

Ora non voglio dire che questi sono tempi di webeti e che Mollner è il nuovo Ionesco sceso in terra, ma che questo film sia stato tacciato d'essere misogino e quant'altro... beh, ce ne vuole. Il regista e sceneggiatore sguazza in un campo dove farla fuori dal vaso è un attimo rapidissimo, ma ha l'intelligenza di fermarsi sempre un attimo prima e, soprattutto, di far riferimento anche allo stesso principio che ha portato alle diatribe di cui sopra.

La cronologia scombinata dei capitoli permette un gioco rivelatorio gagliardo dove nulla è quello che sembra, ma il mondo in cui i suoi personaggi si muovono non è proprio dei più idilliaci.

Ogni donna del film è taciuta, sminuita (basti vedere le interazioni tra i due poliziotti, nonostante l'esito dell'operazione...) come a dire che, sì, qui hanno fatto lo scherzone, ma sono perfettamente consci della situazione là fuori.

Pure il personaggio che dovrebbe ribaltare il comune credere ha un piccolissimo momento verso il finale dove si accenna a qualcosa che potrebbe essere un di più, ma il film ha l'intelligenza per fermarsi un attimo prima di diventare fin troppo ridondante. Non vuole farci pistolotti morali, non è il suo interesse e nemmeno il suo compito: Strange darling vuole solo divertirci e, perché no, prenderci un po' in giro insieme ai sensazionalismi di questo periodo.

Lo fa bene. Lo da dannatamente bene, e per tutta la propria durata, stupendo ad ogni plot twist. Andando a riordinare i capitoli interessati, stupisce scoprire che in realtà si tratta di una storia davvero ai limiti della linearità; questa gestione però rivitalizza un racconto che altrimenti sarebbe stato fin troppo statico, dandogli quella marcia in più in grado di farlo amare, anche di fronte a un finale (vero finale e ultimo tassello, insieme) che potrebbe deludere alcuni, quando invece è semplicemente coerente coi propri intenti. 

Per concludere, una curiosità: la fotografia "nostalgica" è ad opera dell'attore Giovanni Ribisi, meglio conosciuto come il cattivone di Avatar (ma io lo ricordo con affetto come il matto del The gift di Sam Raimi), qui alla sua prima prova come tecnico delle luci.

Direi che gli è andata benissimo!






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