AFTER THE HUNT - DOPO LA CACCIA, di Luca Guadagnino

Alma Imhoff è una professoressa di filosofia a Yale e spera, insieme al miglior amico Hank, di diventare professore ordinario. Quando però la sua dottoranda Meggie, nera e lesbica, le rivela di essere stata molestata sessualmente proprio dal suo partner universitario, una serie di implicazioni porteranno a... 

La mia avversità verso il cinema di Guadagnino è ormai leggendaria, eppure ogni volta che esce un'opera del siciliano sono sempre lì pronto sull'attenti. Certo, solito discorso sull'autorialità che va comunque investita in qualche modo e tutti gli annessi legati a una conoscenza tridimensionale della materia che un nome come il suo porta... ma a questo giro c'era qualcosa che mi attirava verso il suo ultimo film. Qualcosa di sinistro, quasi mellifluo e che sulla carta prometteva una curiosa bagarre culturale, tanto che la passerella veneziana del titolo ha suscitato diverse polemiche.

Il problema del Lucone nazionale infatti non sta tanto nei temi scelti, quanto in come intende sviscerarli.

Che si inizi un film simile (e con una tale tematica, tra l'altro) usando dei titoli di testa richiamanti quelli ormai resi iconici dalla cinematografia di Woody Allen, il quale in quanto ad abusi ha alle spalle un curriculum piuttosto ambiguo, è un colpo di classe. Chapeau alla facciaccia di Greta Gerwig. E che tutto ciò venga da Guadagnino, regista dichiaratamente gay espressosi più volte fuori e dentro lo schermo sulle questioni sociali, è un particolare che non deve passare inosservato poiché costituisce l'impalcatura su cui si erge questa pellicola. Una pellicola decisamente sordida, uscita in un momento culturale molto strano e che su temi scottanti come consenso, vittimizzazione e privilegio ha imbastito una ragnatela piuttosto particolare. Soprattutto in America, terra produttrice del film, dove il non rispetto di alcuni diktat culturali ha letteralmente portato alla fine di diverse carriere negli ambiti più disparati.

Materia che scotta, difficilissima da trattare senza pestare un merdone di quelli grossi quando va male o di fare la figura dei boomer che si lamentano che una volta si stava meglio senza internet e telefoni quando va leggermente meglio. Insomma, a questo giro mordere la pesca è tutta un'altra storia...

Se poi è vero che ogni scelta è un atto politico, e che quindi pure il non scegliere si incasella in quella categoria, Guadagnino decide di non mostrare mai una verità assoluta, ma di imbastire una storia dove non ci sono né vincitori né vinti, ma solo un lento (lentissimo...) dipanare di tutte le criticità e le contraddizioni che la società dell'inclusione a tutti i costi ha disseminato nel suo espandersi.

Già qui parte quello che è il primo fraintendimento di un film generalmente non apprezzato, ma per i motivi sbagliati. Si è parlato delle molestie, il fattaccio brutto da cui ha origine il conflitto, ma sarebbe ingiusto annoverare il film come l'ennesimo resoconto di uno scandalo, quando in realtà è un'anomala indagine sui rapporti umani e come essi siano falsati dalla percezione in cui vengono analizzati.

Fateci caso, è una pellicola focalizzata quasi interamente sulle mani. Si riprende spasmodicamente la mano della Roberts su cui porta la fede, e la si inquadra nuovamente, stavolta spoglia dell'anello, quando si troverà in uno dei molti scambi con la studentessa implicata nello scandalo. E semrpe su una mano si concluderà nell'ultima scena, nel silenzio che segue le innumerevoli chiacchiere...

After the hunt è un film estremamente dialogato dove uno dei registi più egoici del nostro panorama decide di farsi da parte a favore di uno stile più minimale che favorisca l'impalcatura quasi teatrale della sceneggiatura, firmata dall'attrice Nora Garrett, e lasciando ai suoi attori di dare libero sfogo al loro estro. Abbandonando i soliti virtuosismi il film ne guadagna in asciuttezza, e la sua apparente staticità è una chiara indicazione allo spettatore su dove mettere l'occhio, indirizzandolo sugli elementi a un primo sguardo più volatili (la scena del colloquio con la dottoranda mentre il marito entra ed esce a piacimento ne è un esempio) per una storia dove i veri scossoni sono interiori.

Abusi, rapporti di potere, scontro generazionale, percezione della situazione, conflitto di classe, privilegio, caducità del maschio moderno... ne esce un minestro a là Eddington dove non sembra esserci spazio per tutto quello che vorrebbe, col solo risultato che ogni tematica finisce per essere analizzata solo superficialmente, senza mai ferire come dovrebbe e concedendosi a delle punte di dialogo a tratti davvero ridondanti nel loro voler essere colte, argute e ficcanti a tutti i costi in ogni momento.

La cosa che mi fa incazzare con Guadagnino è che lui racconta le cose in una maniera che potrebbe piacermi molto, ma quello che finisce col dirmi mi manda letteralmente ai gangheri. Qui avviene quasi l'opposto: tratta dei temi molto interessanti, finalmente riesce a fare una parodia della classe abbiente che tanto sembra piacergli... ma con le tempistiche sbagliate. Sembra tutto fuori tempo massimo, c'è una silente esasperazione in questo continuo trattenersi che azzoppa un film che sarebbe potuto essere ancora più oscuro ma dove le zone davvero critiche affiorano appena dall'acqua bassa, senza mai ferire per davvero. 

Abbiamo così un bignami della provocazione, un attacco al privilegio che però non infilza mai la spada come dovrebbe, castrati da tutti gli elementi che sfodera appena ne ha l'occasione. Ce n'è per tutti, ma con placida calma. Il minutaggio esaspera una storia tirata per le lunghe dove ognuno mostra e suggerisce il peggio di sé, ma senza mordere mai per davvero - e da uno che ha fatto un film sui cannibali sembra quasi una presa in giro.

Alla fine, in mezzo a questo chiacchiericcio continuo e non sempre interessante come vorrebbe, resta l'estrema sintesi dell'inquadratura finale. Riguarda appunto la mano della Roberts.

Dopo uno dei confronti peggio scritti degli ultimi anni (ma che, davvero...?) Alma paga il conto. Mette la banconota sotto il bicchiere e se ne va, la telecamera rimane fissa sul denaro per dei secondi piuttosto solenni e silenziosi.

Si riassume tutto lì, alla fine.  

Se un cesso ricoperto d'oro rimane sempre un cesso, l'ipocrisia imbellettata con l'impegno resta la cartina tornasole della nostra vera faccia.  







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