SATOR, di Jordan Graham

Adam vive in maniera quasi eremitica, con la sola compagnia del cane e fucile, sulle montagne californiane, in uno chalet che cade a pezzi e dove passa le sue monotone giornate. Deve guardarsi dal temibile Sator, un demone che pare essere a stretto contatto con la sua famiglia, dato che sua nonna fa da tramite per Egli attraverso le scritture medianiche...

La scrittura medianica - detta anche spiritica o automatica - è un processo di scrittura di frasi e parole che non arrivano dal pensiero cosciente dell'autore, avviene in stato di trance e fu usato dalla parapsicologia per evocare conflitti irrisori. Freud la considerava l'espressione del subconscio in grado di far risaltare conflitti irrisolti o traumi infantili. L'uso metafisico avvenne in seguito e gli fu dato nome da Allan Kardec, padre dello spiritismo francese, che la usò per comunicare con gli spiriti. Cinematograficamente, potete vederne un vago esempio in The others. Viene ancora usata in alcune pratiche New Age per diventare canali in grado di comunicare con spiriti, natura, extraterrestri e inconscio collettivo.

Ma farvi un po' di cazzi vostri, ogni tanto?

Tutta sta pappardella non tanto per spiegare quello che fanno all'interno del film, ma tutto quello che ci sta intorno e che ha portato alla sua travagliata genesi. 

Che se è vero... beh, che ansia. 

Se è falso, invece... complimenti al reparto marketing perché sono stato comprato per molto meno.

La nonna del regista Jordan Graham, che qui recita nei panni della... beh, nonna, ebbe veramente degli episodi di scrittura medianica e disse di essere stata davvero in contatto con un demone, che per un periodo, a detta dello stesso Graham, aleggiò sulla propria famiglia. Come detto, non so quanta verità racchiudano queste parole, ma sinceramene non si può che iniziare il film con un certa curiosità.

Sator è il frutto di sette anni di ricerche da parte del regista, scrittore, montatore, direttore della fotografia e delle musiche circa quello che la genetliaca gli disse. E come merito principale ha il togliere un po' di posto a Tenet con quel titolo.

Proprio grazie a questo suo giocare a fare il Robert Rodriguez della situazione il film diventa un'esperienza sicuramente immersiva, anche se con qualche neo. Il primo è che una grossa sforbiciata forse avrebbe aiutato, dato che su ottantasei minuti di durata almeno una ventina risultano quasi di troppo, il che è una pratica comune a tutti quei film che giocano con un budget risicatissimo e un'ambientazione e degli interpreti ridotti all'osso. Perché ci saranno quattro attori principali, due dei quali compaiono per una manciata di minuti, e il protagonista si caracolla sulle spalle gran parte del minuti sono occupati da un bravissimo protagonista in grado di dare il giusto senso di straniamento, e ad accompagnarlo stanno poi i bellissimi paesaggi boschivi e una fotografia davvero eccelsa.

Sator fa parte di quella new wave horror che punta al disagio, all'annientamento del jumpscare e al gioco dell'atmosfera, con pochissimo sangue e un uso delle palette di colori studiato al millesimo, che prova a far spavento con poco. Ci riesce all'inizio e alla fine, ma tutto quello che sta nel mezzo appare allungato e non sempre incisivo quanto vorrebbe. Ma quando ce la fa, beh, non ci sono finferli per nessuno.

Basta solo quel bellissimo prologo per iniziare, restituendoci al proseguimento con dei bellissimi titoli di testa scritti a mano, giusto per buttarci dentro quell'affare di famiglia mai del tutto esplicitato, ma a volte prendersi tutti i tempi che servono può causare problemi nella prosecuzione. 

Sator difatti è lento, lentissimo, continua a suggerire ma si tiene tutto il meglio alla fine, dando la sensazione di un preliminare durato pure troppo. Un gioco costante con la scollatura prima di aprire i bottoni. C'è un uso del sonoro curatissimo, che enfatizza il minimo dando quel senso di ineluttabilità anche nei minimi movimenti (altro che Sound of metal), ma anche la colonna sonora contribuisce, dato che per realizzarla sono stati usati dadi, un basso suonato con l'archetto e pure dei gargarismi - storia vera, questa sicuramente.

E poi arriva il finale. Quella lunga ordalia che non dà tutte le risposte ma fa intuire parecchio.

Graham non si risparmia niente e, sempre con quel suo giochetto di fare tanto con poco, ci regala delle sequenze sicuramente memorabili, con quell'immagine finale che sfonda la quarta parete e rende tutto ancora più inquietate - e quanto è macabramente bella la voce di June Peterson. 

Sostanzialmente, Sator è un film che sull'argomento aggiunge poco o nulla, se non l'esperienza personale, si concede qualche guizzo sperimentale ma poco altro. Alla fine, parla di possessione e anche di lutto, ma non nella maniera più originale possibile, forse perché sull'argomento si è detto fin troppo. Ci lascia uno dei momenti più inaspettati (quando una certa persona viene risucchiata verso l'alto) e un senso di marcio che pochi altri sono stati in grado di restituire. 

Poco male per un film costato così poco e realizzato quasi interamente da una sola persona e dai suoi amici del pigiama party esoterico.









Commenti

Post più popolari