PSYCHOKINESIS, di Yeon Sang-ho

L'irresponsabile Seok-hyeon lavora come custode in una fabbrica e, un giorno, bevendo da una fonte naturale nella quale è caduto un misterioso meteorite, acquisirà dei poteri telecinetici. Sarà l'occasione per ricongiungersi con la figlia che non vede da dieci anni, quando il ristorante di lei verrà pignorato da un'agenzia che vuole bonificare la zona e che ha degli strani agganci mafiosi...

La sfiga nera di azzeccare - e azzeccare molto bene - qualcosa, sta poi nel portare avanti un livello qualitativo all'altezza e, perché no, superarti. Ma è raro che dopo il botto dei botti si vada sempre in crescendo, così come non è scontato che questo tuo exploit di popolarità sia per forza di cose legato al tuo lavoro migliore. Lo sa benissimo Yeon Sang-ho, del quale credo tutti voi avrete amato il bellissimo Train to Busan. E se non lo avete adorato, potete ficcarvi quel che volete per il busan del...

Ok, la smetto.

Anche qua, però, vanno fatte delle opportune specifiche. Il superdiretto coreano non è il lavoro migliore del nostro, che aveva iniziato nell'animazione con risultati a dir poco egregi, per certi versi molto più completi e totalizzanti dei suoi zombi. Resta però il fatto che ha saputo realizzare un blockbuster per tutti i palati, senza rinunciare all'horror, all'avventura, all'azione e ai buoni sentimenti, mischiandoli alla perfezione e regalando al grande pubblico un film completo, trattando ogni singolo spettatore con intelligenza. 

In sintesi, una puttana d'alto borgo.

Ovvio quindi che una pellicola in grado di farsi amare in questa maniera sicuramente lancia la tua carriera, ma dall'altra ti costringe dentro alcune dinamiche che possono farti volare molto basso. E' stato il caso di Peninsula, seguito diretto (tralasciando il bel prequel animato Seoul station) del suo film più celebre, che sembra aver deluso un po' tutti, cadendo in una spettacolarità fine a sé stessa che soccombe davanti alla piccolezza del capostipite.

Le tracce di una possibile crisi creativa però dovevano essere cercate nel film prima, questo Psychokinesis.

Che poi... qualcuno ne aveva sentito parlare?

Yeon Sang-ho approda su Netflix con tutto l'anonimato possibile, facendo un film pubblicizzato poco o nulla ed esistente nel catalogo della piattaforma solo in versione sottotitolata - non che sia un male per forza, ma fa capire che nessuno ha creduto alle potenzialità della pellicola o nell'interesse che avrebbe potuto scatenare. Eppure parliamo di un autore che solo pochi anni prima aveva convinto tutti o quasi, addetti ai lavori e non, improvvisamente trattato alla stregua del figlio della serva. Il che forse si sposa con la critica sociale a lui cara, da una parte.

Diciamolo però senza tanti problemi, il film è tutt'altro che memorabile. Anzi, pensare che dietro la macchina da presa si nasconda un regista che ha dimostrato tanta abilità è parecchio sconfortante vista la piccolezza del risultato finale.

Non ci soffermiamo sulla trama perché, come spesso ho detto, per un film non è necessario possederne una particolarmente intricata o elaborata per portare a casa il risultato. Basta unicamente che chi di dovere abbia voglia di raccontarla. Psychokinesis parte stancamente dalle più basica genesi del supereroe (non sapremo mai cos'era realmente quel meteorite e nemmeno ci interessa, un po' come non ci interessava l'origine del morbo - ecco, sempre lì si torna) per portare avanti un discorso molto caro al regista, quello dell'unità familiare. La psicocinesi è solo una scusa per creare un film d'avventura fantastica che parli della maturazione del protagonista e del suo congiungimento con la figlia, con in mezzo la solita parabola dal subodore di socialismo sulla classi meno agiate.

Il problema è come avviene...

Tutta l'eleganza di Sang-ho, che aveva saputo rendere credibili anche le situazioni più improbabile su quel maledetto treno zombato, va a farsi benedire nella più pacchiana delle maniera.

Il film è tutta una continua gag portata avanti da un attore ai limiti dell'irritante e, nel suo non volersi prendere sul serio, rischia di strafare continuamente, come una battuta detta quando si deve ancora metabolizzare quella sentita poco prima. Io capisco la necessita di alleggerire i toni con lo slapstick, ma quando questo diventa onnipresente in-ogni-singolo-momento, allora la cosa comincia a stufare. E l'intelligenza di cui sopra diventa una specie di presa per i fondelli.

Anche perché qui la denuncia della diversificazione sociale in Corea è molto più accentuata, ma nessun piano sembra avere il giusto spazio, tra un'idiozia e l'altra, col risultato di voler raccontare una specie di fiaba e ricreare sequenze che possono piacere solo a dei bambini abbastanza scemi.

Metteteci anche che la CG non raggiunge livelli altissimi e i combattimenti non sono propriamente diretti nella più raffinata delle maniere, e avrete anche tutto il resto.

Non che si chiedesse molto, comunque...

Un film che sulla carta avrebbe tutto quello che può servirgli e che cerca di rincorrere uno sguardo quasi spielberghiano nel mostrare l'evolversi della vicenda, ma finisce per deludere su quasi ogni fronte. 

Da vedere la domenica pomeriggio quando piove, ma da un regista simile mi sarei aspettato qualcosa di più incisivo - e invece abbiamo solo un molare traballante.






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