DON'T WORRY DARLING, di Olivia Wilde


California, anni '50. Alice vive insieme al marito Jack nella comunità sperimentale Victory, fondata dall'enigmatico Frank. La sua vita da casalinga prosegue, ma la donna inizia presto a sospettare che qualquadra non cosa...

Se anni di cinefilia mi hanno insegnato qualcosa, è di diffidare sempre quando le chiacchiere sulle magagne di produzione prendono il sopravvento sul film stesso o su quello che vuole comunicare. Qui non siamo dalle parti di Josh Trank o della Snydercut, ma in quel caso avevamo a che fare con dei veri e propri professionisti del disagio assoluto.

Qui il massimo è stato Shia LaBeouf che viene allontanato per comportamenti estremi, quando in realtà se n'era andato lui stesso perché non lo facevano provare abbastanza con gli altri attori. Un po' come scoprire che i Destruction avevano fatto casotto perché non backstage non avevamo il succo all'arancia... 

Per il resto si contano guerre tra primedonne sul set, poi smentite pubblicamente a suon di post,  video incriminati in cui le versioni si alternano, dichiarazioni dei redditi che dimostrano che in un film femminista come questo l'attrice protagonista è stata pagata meno dei comprimari maschili (motivo per cui la Pugh non partecipò alla sponsorizzazione del film e non pubblicò il trailer sui suoi canali social) e, dulcis in funto, Harry "One Direction" Styles che durante una delle prime sputa addosso a Chris Pine - il quale ha una reazione di calma zen quasi più assurda del fatto stesso - per poi dichiararsi fidanzato con la regista. 

A me invece ha stupito che la storia sia stata ideata da Shane Van Dyke, nipote del celebre spazzacamini di Mary Poppins, e precedentemente sceneggiatore e regista per la Asylum - di Titanic II, per l'esattezza.

Raga, come al solito vi siete concentrati sulle cose sbagliate, manco a dirlo.

Comunque, tutti attendevano al varco lei, Olivia Wilde, una che durante la promozione si è resa piuttosto antipatica con certe dichiarazioni e che sta trovando una seconda carriera dietro la macchina da presa. E devo dirlo, ha superato le mie ben più rosee aspettative. Don't worry darling a livello di mera tecnica non brilla in nulla, ma la mdp è posizionata sempre nel posto giusto, ha ritmo e nonostante una sforbiciata avrebbe giovato, le due ore di durata non pesano affatto.

Viene quindi l'eterno dilemma: è meglio cavarsela o fare schifo?

Perché se è vero che nulla è fatto male, va anche ribadito come ogni passaggio appaia pesante come una camomilla, tanto che di tutte quelle sequenze belle da vedere, nessuna risulti veramente memorabile. Anzi, l'intero film ha una sua vaga coerenza, ma nel suo portare avanti dei temi anche importanti risulta parecchio innocuo. 

Il che ci porta anche a un'altra domanda circa l'arte del raccontare e del portarsi certe tematiche sul groppone.

Basta avere un tema ritenuto giusto o importante per avere un valore a prescindere? 

Se è così, allora, perché Mary dei Gemelli DiVersi non è ricordata come una canzone impegnata? Qui si è parlato di cultura misandrista e woke, ma sono questioni che lascio ai sociologi e dalle quali preferisco tenermi alla larga, concentrandomi solo sulla scrittura e la messa in scena, e da quelle abbiamo un film sì femminista (movimento che appoggio con tutto me stesso, sia chiaro) ma anche piuttosto abbozzato.

Basti pensare a un Revenge, che portava avanti la poetica femminista in maniera a dir poco impensabile e arguta, facendo anche un linguaggio metacinematografico non da poco - e con pochissimo. Tutte cose che qui mancano, per l'appunto. Don't worry darling è un film carino diretto in maniera capace, ma poco altro. Solleva dei temi interessanti, ma rimangono solo lì, senza un particolare approfondimento o qualcosa che vada oltre ciò che rappresentano.

Il film parla del ruolo della donna nella società, com'è cambiata nel corso degli anni, del suo avanzare ideologico e lavorativo, ma anche di riflesso come l'uomo si senta sminuito da questo avanzamento e delle teoria analoghe cresciute all'ombra del progresso. Tutte cose più interessanti del trattamento che viene riservato loro.

Si tratta anche di un film cresciuto fuori tempo massimo, perché i twist finali (tra l'altro, le sorti più interessanti vengono riservate ai comprimari) dopo The Truman show e La moglie perfetta sanno di già visto, tralasciando alcune inesattezze sulla componente fantascientifica. Quindi il film appare come il (bello, valido) episodio di apertura di una serie antologica sul tema, piuttosto che come un film a sé che deve portarsi sul groppone tutta la tematica.

Tra l'altro, come già detto, una tematica che per quanto si possa apprezzare, manca di sfumature ed è tracciata col pennarello grosso. 

Tutti quei giochetti sulla circolarità e la coreografia non mi hanno detto molto (seriamente, Edward mani di forbice faceva lo stesso quasi trent'anni prima e con risultati ben diversi per contrasto), per un film che, come spesso succede quando un attore si sposta di ruolo, privilegia maggiormente le performance degli interpreti.

Lì, solo lodi.

Anche Harry "lama" Styles, per quanto tenuto ai margini, risulta credibile.

E se Florence Pugh è strepitosa come sempre, la vero sorpresa è Chris Pine, uno da sempre molto più bravi dei ruoli che gli sono stati riservati. Lui, da sempre visto come il "buon compagnone", riesce a lavorare di sottrazione, risultando inquietante con dei minimi cenni, dando alla propria prova tutte le sfumature che mancano nella pellicola.

Per quanto mi riguarda, il villain dell'anno è proprio lui. Almeno questo, concediamolo al film.

Vorrei dire un'occasione sprecata, ma già sulla carta per me l'intera vicenda meritava un diverso approccio, sia in termini di scrittura che di messa in scena - basta un Vivarium a fargli le scarpe.

Come abbia fatto lo script a finire sulla fantomatica Black List (che non è una canzone dei Manowar, ma un sondaggio sulle migliori sceneggiature non ancora prodotte) resta un mistero.






Commenti

  1. Chris Pine per me invece è sempre anonimo,pure qui (e servirebbe un attore carismatico per il ruolo)

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  2. Oddio, proprio "strepitosa" la Pugh non la definirei, in fin dei conti recita "paro paro" come in Midsommar, ormai è abbonata ai ruoli di isterica depressa... non voglio dire che non è brava, eh, però qui non si sforza nemmeno. Ma del resto tutto il film è apparenza, tanto fumo e niente arrosto, tutto già visto dall'inizio alla fine. Non inguardabile, ma scontatissimo (il che, per un thriller, non è proprio il massimo)

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    1. Ruoli che le riescono benissimo, e in carriera ha fatto altrettanto bene pure altro. Su tutto il resto tristemente concordo...

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  3. La Pugh è meravigliosa come al solito e la confezione è extralusso, ma la trama lascia un po' a desiderare. Peccato, poteva essere un capolavoro!

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