SWALLOW, di Carlo Mirabella-Davis

Hunter è una giovane casalinga, sposata col rampollo affarista Richie, e in attesa del primo figlio. Un giorno, dopo aver letto la frase «fa' ogni giorno qualcosa di imprevedibile», inizia a ingurgitare oggetti di ogni tipo e...

La settima arte, in quanto tale, si reinventa sempre. Per quanto le storie da raccontare siano grossomodo otto o poco più, a contribuire all'evoluzione della narrativa è sempre stato il modo in cui si vogliono narrare, e il cinema spesso si è differenziato come pochi altri - motivi e possibilità di fruizione, credo - per il suo approccio alla provocazione e al modello immaginifico a cui fa riferimento in quanto arte visiva.

Qui si appoggia alla provocazione più grande di tutte: ci mostra una donna che fa la cacca.

Il soggetto venne in mente al regista Carlo Mirabella-Davis pensando alla storia di sua nonna, casalinga degli anni '40, la quale aveva preso a lavarsi convulsamente le mani, arrivando a consumare quattro saponette e dodici bottiglie di alcol denaturato al giorno. La donna vene rinchiusa  in un ospedale psichiatrico dove fu sottoposta a una terapia a base di elettroshock, insulina e lobotomia non consensuale. Perse il gusto e l'olfatto.

Lavarsi le mani, specie dopo il 2020, non era però qualcosa di particolarmente cinematografico, e in soccorso del regista venne un articolo dove si parlava del picacismo, un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato nell'ingestione continuata nel tempo di sostanze non nutritive.

Partendo da un soggetto simile, è riuscito a realizzare questo suo sorprendente esordio, regalando al mondo uno dei ritratti femminili più belli degli ultimi tempi, grazie soprattutto al coraggio con cui riesce a trattare soluzione estreme con tanta delicatezza.

Scopro inoltre che all'età di vent'anni (quando uscì il film ne aveva trentanove) il regista si identificava come donna e si faceva chiamare Emma Goldman, come l'anarchica rivoluzionaria lituana. Alla luce di quanto il film ha saputo offrire, soprattutto in un ritratto femminile così ben fatto, non mi sembra un particolare da sottovalutare.

Così come non è da sottovalutare tutto il film in ognuno dei suoi passaggi, tutte le svolte di trame, le geometrie compositive degli spazi e il discorso sulle aspettative sociali che suggerisce in ogni secondo, svincolandosi dal tema del picacismo stesso.

Perché - e qui sta la vera grandezza di questa piccola pellicola - il disturbo alimentare non è il vero particolare su cui concentrarsi e il regista se ne allontana quanto basta per non trasformare la sua protagonista in una stramboide da freak show, ma anzi, sull'ingerire ed eliminare suggerisce qualcosa che col finale sarà quanto mai coerente, spingendosi dove molti non avrebbero osato e facendolo con la già summenzionata delicatezza.

Sempre parlando della nonna, Mirabella-Davis disse che nella sua triste storia aveva visto una specie di atto punitivo per non rispondere alle aspettative della società in quanto donna e madre. Lo stesso avviene in questo film, ma in una maniera sottile e silente.

C'è nel modo in cui il marito la ignora o le rinfaccia eventuali mancanze. C'è nel modo in cui nessuno la ascolta e, soprattutto, nella sua lussuosa solitudine. Il film è esteticamente bellissimo (fa quasi impressione scoprire che si tratta di un esordio), ma basa il suo pattern su colori freddi, i quali danno sì l'idea di agiatezza, ma non nascondono una mancanza di calore, e il rosso posticcio delle tende arriva quasi a reclamare qualcosa di esterno e immateriale che nella vita della donna è del tutto assente.

Così come nello scoprire la malattia, più che per lei, c'è preoccupazione per la vergogna che può dare alla famiglia e alle conseguenze sul nascituro. Nessuno che chieda a Hunter come stia per tutto il film, anche il suo rapporto con la psicologa è un moto di controllo.

Si fermasse a questo, non sarebbe però questo grande film. La pellicola scava anche nel passato di Hunter, costruendole un background incredibile e sviluppando la sua narrativa su quel conflitto, mettendo da parte per un attimo il picacismo stesso e dando un'ulteriore prova di umanità grazie alla scena di un confronto che nella sua semplicità riesce a essere devastante.

Senza fare spoiler, dico solo quanto mi sia sembrato incredibile la capacità del regista e sceneggiatore di rappresentare qualcuno macchiatosi di una delle colpe più orrende che esistano e, senza scusarlo, dargli ugualmente una simile caratterizzazione, attraverso un dialogo serratissimo, minimale, ma pieno di rimandi, riferimenti e sottintesi - basti pensare che parte col commentare il colore degli occhi. 

Nelle intenzioni del cineasta, c'era il desiderio di realizzare un film sull'empatia. Beh, c'è riuscito.

# In the swallow, swallow-oh #

Il corpo usato come inconscio senso di ribellione per potersene riappropriare e fare i conti col propria passato, svincolandosi dall'ambiente in cui si è ritrovata e nelle rigide imposizione sociale che la vedono come incubatrice per figli e basta. Un film che mette in scena tutto questo sfuggendo la più bieco sensazionalismo e senza nascondersi dietro slogan fintamente progressisti, ma facendo un discorso ampio, coerente e diretto, senza perdere il filo nemmeno una volta. Il crollo come svolta.

Se avete visto Barbie, potete sputare i denti da latte e iniziate  a vedere le cose per grandi come questa.

Soprattutto, guardatelo per vedere Haley Bennet. perché se regia, montaggio e composizione sono discorsi per gli appassionati, un'interpretazione stupenda come questa può arrivare a chiunque ed è innegabile. Ma soprattutto, reggere un intero film di questo calibro sulle proprie spalle, non è cosa da tutt* e la ragazza ci riesce perfettamente in scioltezza.

Meravigliatevi poi di un finale così bello e, a suo modo, provocatorio - godo ancora pensando a tutti i provita che schiumeranno nell'averlo visto, sempre quelli riescano a reggere oltre un cinepanettone. 

Un film magnifico di cui tutti dovrebbero godere. E dopo averlo visto, farsi delle domande d'obbligo.

PS: dopo questo esordio il regista, come altri colleghi, ha proseguito sul piccolo schermo dello streaming. Ma se la Fargeat si è infognata con The Sandman, a lui è andata meglio con la raffinatissima Servant su Apple+.







Commenti

  1. Visto in pandemia faceva ancora più effetto, te lo garantisco. Il senso di inadeguatezza e solitudine della protagonista veniva amplificato a livelli insopportabili. Un gioiellino angosciante, ma pur sempre un gioiellino da vedere!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. I film visti dalla comunità cinefila durante i vari lockdown - questo e "Vivarium", ad esempio - li ho recuperati volontariamente con vago ritardo... una delle poche scelte intelligenti della mia vita 😅

      L'angoscia comunque l'ho sentita anche adesso. Un film doloroso e magnifico.

      Elimina
  2. Devo proprio decidermi, ho visto che esiste il dvd in italiano, lo cerco.

    Io invece ti metto una pulce nell'orecchio: "La chimera" di Alice Rohrwacher. Film da vedere magari senza saperne nulla. Davvero bello.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. C'è su Prime, in caso. Comunque nella propria cineteca fa sicuramente un figurone!

      Non amo molto la Rohrwacher che sta dietro la mdp - ho trovato "Le meraviglie" e "Lazzaro felice" belli ma snervanti - eppure quello mi incuriosisce!

      Elimina
  3. Lei non la conosco molto ma il film merita.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Allora avrai mie nuove quando lo vedrò. Magari ci scappa una mini rassegna 😬🙃

      Elimina
  4. Non conoscevo la malattia, ma bel modo di farlo conoscere :D

    RispondiElimina

Posta un commento

Ragazzi, mi raccomando, ricordiamoci le buone maniere. E se offendete, fatelo con educazione U.U

Post più popolari