LA SALA PROFESSORI, di İlker Çatak

Il clima in una scuola media è fortemente turbato da una serie di furti. La giovane insegnante Carla cerca di porvi rimedio a modo suo, scatenando però una serie di eventi dei quali non aveva minimamente immaginato la portata...

«Chi non sa fare nulla, insegna, e chi non sa insegnare insegna ginnastica». 

Così diceva Woody Allen in Io e Annie (ebbene sì, quella in School of rock non è una battuta inedita) e già questo basta a dirci quanto possa essere difficile essere un insegnante...

Un po' come la mia professione (sono operatore socio sanitario) dev'essere una vocazione, bisogna avere una spinta speciale che ti porti a intraprendere quel mestiere. Professione però defraudata da improvvisati che, pur di tirare a campare, si sono reinventati insegnanti, con tutto ciò che ne consegue, insieme a un'istituzione scolastica che si sta trasformando in tutto quello che non dovrebbe essere.

Le scuole non sono più i centri della trasmissione del sapere e le lauree vengono ridotte a un vademecum per trovare lavoro (cosa importantissima, sia chiaro), lo studio come amore per la conoscenza e la scoperta è andato a perdersi di fronte a un mondo sicuramente più organizzato ma che ha barattato col pragmatismo il suo contatto con la bellezza e la mente - quanti hanno fatto in vita loro battute su chi studia filosofia, ad esempio, ammesso che ironizzare su chi studia sia legittimo? E torniamo quindi ai professori/maestri, i quali devono barcamenarsi nel far seguire dei programmi a tratti pure stantii e il gestire delle classi pollaio con alunni sempre più complessi, e dove non arrivano quest'ultimi, ci si mettono i genitori, guai a toccare i loro "piccoli angeli".

Insomma, sulla scuola ho le mie idee, però durante la visione del film mi è venuto da pensare che se avessi avuto più insegnanti coma la protagonista forse (insieme al non essere nato testa di cazzo doc.) sarei stato uno studente ben diverso.

Se tante riflessioni sono venute fuori vedendo questo Das Lehrerzimmer, significa che l'ultima fatica di İlker Çatak è decisamente molto più profonda di come può apparire a una prima occhiata. Anzi, è proprio l'opera che non ti aspetti, perché nonostante la nomina a Miglior Film Straniero agli Oscar ha una calma potenza interna che lo rende forse una delle pellicole più inaspettate di un'annata decisamente ricca di ottimi risultati.

Ritmata, coinvolgente e, per assurdo, più ansiogena di molti horror visti di recente. In certe scene la tensione era tale che guardare è stato particolarmente difficile, il tutto con solo due personaggi che parlano di una situazione così banale da essere più comune di quanto si pensi. E sta proprio qui la bellezza di un film diretto e potente, nel realismo della situazione e delle reazioni delle persone coinvolte.

Penso che come la politica, anche la scuola sia un riflesso della nostra società. Quello che ci mostra  Çatak non è un ritratto confortante...  

Razzismo interiorizzato, docenti che devono gestire una burocrazia grigia, unita al fatto che nessuno sembra essere proprio una cima. C'è però Carla, che farà sicuramente un errore (e il film non sminuisce quanto fa) ma che ci mette tutta sé stessa nel tirar fuori del buono in quei ragazzi così grandi, avanti rispetto a come eravamo noi, ma allo stesso tempo così piccoli e incapaci di gestire tutto.

Il match diventa una gara tra l'insegnante e l'accusata, che userà il figlio come parte della sua vendetta. Ed è qui che il film comincia a essere realmente doloroso, nella guerra interna che si viene a creare e a come tutti i fili danno un arazzo complesso, amaro, dove questa giovane donna dimostra di tenerci realmente a quel bambino che inevitabilmente finisce per andarci di mezzo, lottando però una battaglia impari che non vuole tanto delle verità, quanto dei colpevoli da condannare al più presto. Quello conta, l'uscirne velici e puliti, il resto è un surplus.

Con quel 4:3 che ormai sembra un must cinefilo per eccellenza, il film ha la struttura di un thriller senza soluzione, perché, forse solo per questo, tende a differenziarsi da una folla assetata di sangue che vuole solo colpevolizzare.

Diventa una specie di perdita dell'innocenza sui generis per le anime coinvolte in un gioco al massacro, dimostrando nella gestione dello scontro una finezza senza pari che (tenetevi forte perché qui si vola) me lo hanno fatto entrare nel cuore ben più di Anatomie d'une chute, per dire. E parlando di ambiguità, che io non ho (forse colpevolmente) sentito nella pellicola francese, qui si giova tutto in quella magnifica ultima scena, beffarda e amara al punto giusto.

Un bambino portato via su una sedia, a mimare una folla acclamante, quando invece è solo l'annunciazione dell'inferno legale che seguirà. La prova che non ci saranno vincitori, perché abbiamo perso tutti.

Quell'ultimo confronto muto tra Carla (ma quanto è brava Leonie Benesch?) e il ragazzino mi resterà impresso a lungo. E resterà tatuato nelle cornee a tutti quelli in grado di andare oltre a quello che si blatera a schermo e tra i pettegolezzi vari.

Parola di uno che non è mai stato il primo della classe.





Commenti

  1. Sono d'accordo su tutto. Thriller ansiogeno e sociale, anch'io lo trovato molto più empatico e toccante di Anatomia di una caduta. Una delle sorprese dell'anno

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