THE SUBSTANCE, di Coralie Fargeat

Elizabeth Sparkle è stata un'attrice di incredibile successo e bellezza, la sua stella però non sparkle più ed è ridotta a fare programmi di aerobica. Dopo essere stata silurata dall'emittente scopre l'esistenza della "sostanza", un intruglio segreto che può creare un clone più giovane e bello tramite il quale poter vivere una seconda vita. Ma...

Revenge è stato un filmone. Voi non ve ne siete accorti (o accorti a sufficienza) perché eravate troppo intenti a pensare alle sise della Lutz o al fatto che una non può sopravvivere a quella caduta, ma era la prova cristallina della bravura di Coralie Fargeat, la sua regista. Dopo quel titolone la attendevo a braccia aperte, ma di lei invece non si è saputo nulla per anni. Ho visto di straforo il suo nome nei titoli di un episodio del Sandman di Netflix (ugh...), poi è venuto fuori il trailer di questo The substance ed ho stappato lo champagne.

Immaginatevi se, dopo averla attesa ed elogiata per tutti questi anni, mi avesse fatto schifo...

Andando per gradi, perché Revenge è stato quel piccolo fenomeno?

In sé la trama non offriva nulla di che, ma era il modo in cui aggirava i passaggi obbligati, piccole sfumature narrative, che permettevano alla pellicola di re-inventarsi, prendendo le distanze dallo stesso genere che adottava. Essere un rape and revenge fatto e finito per dire "tutte le donne, anche quelle più deprecabili secondo la morale corrente" meritano giustizia, era un tocco di classe che in questi periodi assolutistici nessuno si aspettava.

Il tutto partiva da una regista praticamente esordiente e metteva subito in chiaro che la sua poetica si basava su una politicizzazione del corpo delle donne. Il colpo di classe era usare proprio un genere che se ne era asservito per glorificare dei bassi istinti da exploitation per far valere la propria visione.

In The substance questo viene un poco a mancare, ma non è per forza di cose una colpa.

Il secondo round dietro la mdp è un "comune" body horror che con l'esordio condivide solo la linearità della trama, ma il suo messaggio è palese fin dalle primissime inquadrature. Una storia che parla di come il corpo delle donne viene percepito durante l'invecchiamento, e difatti l'atto iniziale (il migliore) è portato sulle spalle da una Demi Moore alle prese con la miglior prova della sua carriera che deve gestire il rifiuto del tempo che passa... suo e degli altri.

Storia di ricchi che piangono, ma se nemmeno una celebrità al vertice della piramide sociale è immune, come può essere per le donne comuni? 

Nel rendere questo la pellicola riesce perfettamente. Il problema, semmai, l'ho percepito con una parte centrale con decisamente più zoppicante.

Sul tema di The substance esistono già visioni analoghe, basti pensare all'ironia istrionica di La morte ti fa bella o al calcio nei denti che era stato Dumplings di Fruit Chan, senza dimenticare l'episodio L'apparenza di Ana Lily Amirpour nel Cabinet of curiosities di Guillermo del Toro, ma per quanto la novità non sia per forza un requisito necessario lo deve essere invece la capacità di far quadrare i conti nell'economia narrativa della pellicola.

Ecco, questa è una grossa pecca di The substance.

Soprattutto perché i suoi intenti sono già lapalissiani, quindi perché tirarla per le lunghe in quella maniera, soffermandosi su allungamenti vari che servono davvero a poco? Davvero, le mille parentesi aperte hanno dato davvero un qualche valore aggiunto alla pellicola, riempito spazi che altrimenti sarebbero rimasti vuoti oppure arricchito il discorso generale?

La Fargeat ha una grande mano e riesce a conferire all'ambiente lo squallore necessario servendosi di tutto lo scibile cinematografico, dalle inquadrature deformate fino ai dettagli di cibo nel colloquio con Dennis Quaid, ma più il film avanza più la capacità di trovare soluzioni che possano reggere il passo con i minuti, a tratti interminabili, si trasformano in una specie di stanca anche quando cade preda dei trucchetti visivi che la avvicinano al Refn di The neon demon, accomunandosi ad esso da un inesorabile girare in tondo oltre il tempo stabilito fino a toccare tratti di pura auto parodia.

Due ore e un quarto erano davvero necessarie per parlare di 'sta roba?

Centotrentacinque minuti non sono forse troppi per una storia che esaurisce quanto aveva da dire, dandoci una parte centrale con un fiato corto che nemmeno una Qualley bella come non mai* riesce a riscattare con la propria presenza a schermo tutto il tempo?  

A tantissimi è piaciuto e io sembro essere uno dei pochi a non aver apprezzato fino in fondo.

Ma davvero, se la trama non ingrana, i personaggi non rimangono memorabili, più di una scena risulta inutile e un paio sono pure la ripetizioni dello stesso schema, mentre la regole interne (tra l'altro... perché una società con un simile rimedio agisce gratuitamente?) del siero che dà il titolo ti fanno pure prevedere cosa succederà verso la fine... mi spiegate cosa c'è da osannare tanto?

Lo splatter finale?

Dopo Society di Yuzna ci lasciamo impressionare in questa maniera, per quanto il final monster risulti davvero notevole e una trovata ai limiti del disgusto? Cosa c'è che non sia già stato detto, e meglio, prima? E perché atteggiarsi a ribelle punk se si sono usati proprio gli stilemi visivi tanto disprezzati per ingranare la vicenda, a tratti davvero ai limiti di un voyeurismo che ti domandi quanto manchi per essere come loro?

Un film non brutto, ma da cui era lecito aspettarsi ben altro acume, perché da chi dimostra di avere talento tendo a pretendere quel quid in più. Poi però vedo che i Bad Relugion hanno un loro merch e capisco che la ribellione sta altrove...

Cara Coralie, io ti vorrò sempre bene, ma quella della critica sociale è una strada impervia e che necessita di ben altre sottigliezze.

* comunque, qualora ve lo steste chiedendo... le tette della Qualley nel film sono un effetto protesico.






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