HO VISTO LA TV BRILLARE, di Jane Schoenbrun
Si potrebbero dire molte cose sulla questione ma io, che non sono il più sveglio della cucciolata e non mi ero nemmeno accorto inizialmente che parlasse proprio di quello, mi limito a dire che un'artista (aspè... l'apostrofo va o no?) non può che parlare di quanto conosca meglio.
Pertanto, se siete qui per lamentarvi del politicamente corretto, che sì, sta oggettivamente sfuggendo di mano, in questo caso potete altrettanto politicamente correttamente andarvene affanculo. Jane, come chiunque altro, ha il diritto di parlare di ciò che vuole e come vuole.
Su come ha deciso di farlo, ecco, quello sono un altro paio di maniche e si può disquisirne quanto vogliamo.
Di base, posso dire che da questa pellicola, la sola del suo dittico vista fino ad ora, ho capito che il suo cinema difficilmente potrebbe piacermi. Nulla contro di lei, siamo dalla parte dei "gusti son gusti", ma si tratta di un insieme di cose che non rientrano nella mia proverbiale tazza di te - mischiate insieme ad altre che mi piacciono, ma credo sia meglio andare per gradi.
Tra l'altro, sono stato tratto in inganno dal genere.
Genere... l'avete capita, vero? Gen...
Ok, la smetto.
I saw the tv glow è stato lanciato come film horror. Un film horror della A24, con tutto ciò che comporta. Il bello però è che non lo è... non nel senso più canonico, almeno. Ha degli elementi che riconducono al cinema dell'orrore e prende in prestito dal suo stesso immaginario delle suggestioni che da sole valgono la visione, ma si tratta di elementi esterni che non conferiranno molto all'economia narrativa del film, se non portare avanti la sua natura di (apparente) matrioska per dare voce ai traumi irrisolti dell'animo umano. Tra cui, anche, il dilemma della transizione di cui sopra.
Qui sta la damocliana spada che pende su tutto il film.
La pellicola affronta numerose tematiche. Troppe, forse, e la sua natura da Donnie Darko accademico complica ulteriormente la faccenda.
Ci sono infatti degli accenni al mondo queer, poi a seguire l'incomunicabilità coi genitori, il bullismo, lo scontro generazionale, l'impossibilità di avere una vera sessualità e, collante del titolo, il rifugiarsi nel mondo di fantasia non trovando un corrispettivo nel reale in cui identificarci.
Questo offre alcune delle sequenze più belle dell'intero film. La Schoenbrun ricostruisce il look e il mood della serialità anni novanta con una meticolosità incredibile, definizione delle immagini non pervenuta inclusa, portando all'estremo un gioco che forse alla lunga rischia di girare su se stesso. Anche se il mio cuore se n'è andato nel corridoio iniziale...
Owen che gira in un corridoio scolastico, mentre sullo schermo appaiono gli appunti sulla serie che si scambia insieme all'amica. In secondo piano, intanto, dei cartelloni con slogan motivazionali, contro la debolezza, sull'essere veri uomini ed altro.
In mezzo a tutto quello, un ragazzo solo e incompreso, perfino a sé stesso, cammina mesto.
Una sequenza semplicissima ma, forse per questo, efficace - e notata da ben pochi.
A quello si aggiunge il commento sprezzante del padre "Ma non è una serie da femmine?", lo scambio dei ruoli effettuato lisergicamente con l'amica scomparsa verso metà film, l'assenza degli insegnanti o di vere figure adulte di riferimento... sono tutti particolari che dipingono questo film di un orrore molto più sussurrato, ma presente, permeandolo di un senso di abbandono che non se ne va fino ai terribili titoli di coda.
Il film non acquista mai un senso, sarebbe sciocco cercarlo, ma riesce a mostrare un vuoto interiore con una leggiadria che trascende il mero gusto personale. E la disperazione che deve aver provato la Schoenbrun l'ho sentita molto simile a quella che ho sentito io per situazioni totalmente differenti alle sue.
Può una persona trovarsi in un mondo che spinge a indossare una maschera di forza e insensibilità? Come cercare un senso nello scorrere del tempo quando questo lo si passa in mezzo a gente che parla e parla ma non comprende mai? E che succede quando si palesa la pochezza dell'alternativa che ci siamo costruiti?
Il film prova a portare in scena tutto questo. Nel mezzo, tante cose che di solito non mi piacciono: un certo fare fin troppo casereccio di un particolare cinema indie, col suo montaggio fintamente sincopato, stacchetti musicali che a una certa mi chiedo ancora a cosa servano, attori in palla che ogni tanto infrangono la quarta parete e tutte cose di cui, per quanto concerne la mera analisi stilistica, farei volentieri a meno.
Però... sì, quel vuoto che cerca di rappresentare in immagini e percezioni, un po' l'ho sentito mio. E quando un film riesce a darti una sensazione simile, per me è riuscito a prescindere.
Anche se, per assurdo, non ti piace o convince del tutto.
Poi c'è quel dannatissimo finale di silente crudeltà che credo me lo porterò dentro per un po'.
Sul finale ho smesso di respirare. Per me è uno degli horror migliori dell'anno e anche dei più inquietanti.
RispondiEliminaIl finale è oggettivamente notevolissimo!
EliminaCiao, scusa il fuori onda, ma volevo comunicarti che giovedì uscirà nelle sale il film di Radu Jude di cui avevamo brevemente parlato, ricordi? 'Do not expect too much from the end of the world '.
RispondiEliminaPer il poco che ti conosco, credo che lo amerai, spero esca dalle tue parti 🖐
Grazie mille dell'infornata! Sapevo della sua esistenza, non dell'uscita.
EliminaPurtroppo non sono ancora riuscito a vedere il primo... 😅
FilmTv mi dice che il primo è su Prime.
RispondiEliminaDovresti trovarlo anche su Chili 👋
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