THE GIRL WITH THE NEEDLE, di Magnus von Horn

1919, Copenaghen. L'operaia Karoline, credendo il marito morto in guerra, inizia una relazione col proprio titolare, rimanendone incinta. Scoprirà poi che il marito è stato gravemente ferito al fronte, e nello stesso tempo viene abbandonata dal nuovo amante. Dovendo trovare un modo per mantenere il coniuge e la nuova arrivata, si troverà a...

A certi film bastano i primi secondi per farti capire di che pasta sono fatti.

È il caso di questa opera terza di Magnus von Horn, che dopo avermi convinto solo in parte con il suo The here after (un sentito esordio ma che lasciava un sentore di incompletezza) ritorna con questa pellicola poderosa, granitica, lercissima e di sconfinata tristezza. Ed è bastata proprio la prima scena, con questi primi piani sovrimpressi ad altri, come il rutto esagerato in sala mensa che costringeva tutti a una manciata di secondi di rispettoso silenzio.

Adesso possiamo definirlo Magnus di nome e di fatto.

Si può ignorare volutamente in tutta tranquillità che si chiami come uno dei figli di Nolan, ma non è possibile invece rimanere indifferenti davanti a questo spietato ritratto di degrado postbellico. Davvero, sembra di essere in una storia di Ágota Kristóf per quanto ogni passaggio sembri volto a suggerire il vuoto pneumatico che questi personaggi vivono e nel quale sono costantemente immersi, senza risparmiarsi nulla. Rapporti sessuali squallidi, dettagli su menomazioni varie e poi, manco a dirlo, quello che sarà il tema portante dell'ultimo atto, quello per cui il film farà sicuramente parlare di sé.

Il che è una minima parte di tutto l'insieme, per quanto disturbante, e se volete rovinarci la "sorpresa"  vi basta cercare i fatti relativi alla serial killer Dagmar Overbye, alla quale le vicende sono vagamente ispirate.

Ma cos'è che diciamo ogni volta? Che non importa mai cosa racconti, ma il modo in cui lo fai.

Per questo consiglio di vedere il film a mente vergine. Dell'attinenza storica o del ricreare un true crime fedele ai fatti a von Horn interessa poco o nulla. I toni sono quelli della fiaba gotica per ricreare un archetipi o mondo ostile che metta in guardia sul marciume che si può trovare in quello vero.

Per questo il bianco e nero, per richiamare l'espressionismo tedesco e giocare con la fotografia, con le zone d'ombra che una vicenda simile reclama, fino a farlo diventare un vero e proprio horror evocativo. Il film e il suo regista suggeriscono e basta, ma a conti fatti, per come la trama deraglierà e il fattaccio che si verrà a scoprire, è quanto di più vicino a un racconto dell'orrore possa essere, pur non mettendo in mezzo squartamenti o mostri. 

I veri mostri sono gli uomini, perché la Storia stessa ha disseminato di orrori il proprio passaggio e gli esseri umani sono le pedine che si muovono tra le sue spire.

Ma è anche una storia di solitudine femminile, ed è curioso come il regista, in un'epoca dove per rimarcare la questione sembri necessario dover gridare PATRIARCATOogni tre secondi, adotti un punto di vista così ambiguo, a cominciare dalla protagonsta.

Sarebbe stati fin troppo facile far vedere la classica Karoline die mädche praline, e invece le parti peggiori vengono pure da lei, come testimonia l'incontro col marito mutilato. Basta quello a renderla una cattiva persona? No, semplicemente, pur con i suoi momenti negativi tipici di ogni individuo disperato, è innanzitutto una donna sola che deve decidere tra il sopravvivere e quello che è giusto. Vittime, in qualche modo, lo sono tutti quelli che vivono sotto la soglia della povertà. A Karoline non mancherà la vera disperazione che tocca le appartenenti alla sua categoria in tempi difficili, fino a quella più terribile che devi affrontare se sei madre.

Da lì, il titolo...

Rimane curioso però vedere come la miccia che scatena l'odissea di sofferenza della nostra parta proprio da una donna. Una donna facoltosa, segno che il vero male sta nel potere, e su questa nota ambigua il film dispiega una serie di storture che rendono l'ambiguità una precisa e voluta scelta stilistica, merce rara in questi temi manichei di assolute vittime e carnefici (anzi, carneficə) dandoci una antagonista iconica, a suo modo, figlia di un vissuto che ne ha caratterizzato la distorta visione del mondo e dell'operare, tanto da vedere nella propria tratta una macabra coerenza. Anzi, un «servizio alla comunità», mettendosi lì in mezzo a quanto prima.

Moralmente ambiguo in termini narrativi è anche il fatto che l'incontro tra le due inizi con un atto di disperato (comunque, immagino già i provita schiumare come scimmie) e prosegua con una serie di delitti tra i più terribili, in un valzer di continuità che però si sposta sul piatto opposto della bilancia, inscenando una storia di rapporti sbilanciati e di potere terribile. 

Si ottiene così un film che parlando del passato finisce per mostrare anche un macabro presente, giacché oltre a quella femminile, è la questione sociale a farla da padrona. 

E dopo quell'inizio da Bergman wannabe il regista Magnus von Horn, che dopo questo film non so come farà a superarsi come la tradizione vorrebbe, mostra una direzione degli elementi solida, conscia di quello che vuole ed espressamente cinefila e citazionista nel suo procedere. Perché non basta solo la fotografia che richiama l'espressionismo, c'è tutto un deflagrare di prese in prestito del tempo del muto, a cominciare dalle operaie che escono dalla fabbrica che ricalcano i fratelli Lumiere fino ad altri esempi similari disseminati qua e là, lasciando comunque la pellicola con una sua forte impronta perfettamente riconoscibile.

Così come riconoscibile è la disperazione che, senza sensazionalismi, ci viene spiattellata in faccia ad ogni inquadratura.

Un film nerissimo, di una cupezza nemmeno lontanamente inimmaginabile, che in un mondo di derelitti bisognosi di tirare avanti, a volte mentendo pure a loro stessi, offre la possibilità di accendere una piccola luce. 

Lo fa delicatamente, lontano dal grottesco rievocato continuamente. E forse proprio per questo agli Oscar, per cui è stato nominato come miglior film straniero, non se lo filerà nessuno.






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