THE MONKEY, di Osgood "Oz" Perkins
Sembrerebbe nulla possa andare storto, poi però viene fuori che King è stato entusiasta della pellicola del nostro. E noi sappiamo gli abissi che possono raggiungere i gusti di quell'uomo...
Ancora oggi è celebre la diatriba che il bardo del Maine ebbe con Stanley Kubrick e, se non ho dimenticato aneddoti vari oltre al volto di mio padre, si era ritenuto soddisfatto pure di quell'aborto de La Torre Nera. Senza addentrarci in quella palude melmosa che fu la sua parentesi da regista, diciamo che qui siamo su lidi più semplici, perché il racconto era di poche pagine e Perkins ha avuto piena libertà artistica. Il rischio più grande quindi è quello di andare al cinema ed aspettarsi un simulacro della precedente fatica del zuzzurellone dietro la macchina da presa.
È lo scotto che pagano tutti quelli diventati celebri, se non ci credete chiedete a Bong Joon-oh come è andata con Mickey 17. Se però vediamo alla carriera di un autore come a un percorso in continua evoluzione (d'altronde, pure Croneberg si è parzialmente staccato dal body horror e anche Shallallero ha rinunciato ai plot-twist) questo The monkey potrebbe riservare qualche sorpresa, se siamo disposti ad accettarle.
Va detto quindi che è un film matto in culo.
Seriamente, se da una pellicola vi piace essere presi in contropiede, se adorate gli eccessi e i toni più ambigui del peggior umorismo sulla piazza, allora fiondatevi a guardare un film anarchico, folle, esagerato e che non ha paura di farla fuori dal vaso, con tutti i se e i ma del caso.
Perkins non vuole rodare sentieri già battuti, abbandona la compostezza formale ed esecutiva della sua follia cagecentrica per immolarsi in un film slapstick, fortemente debitore del Raimi dei bei tempi andati, nel quale mette dentro le proprie ossessioni che ne contraddistinguono la cinematografia, come ad esempio una cura a dir poco esagerata dei dettagli, un ritmo che non ha mai tempi morti (giuro, non voleva essere una battuta...), la capacità di inquietare o suscitare qualcosa con movimenti appena percettibili della macchina da presa e, soprattutto, le relazioni familiari.
Sulla famiglia del nostro infatti andrebbero spese due paroline...
Il fu Norman Bates morì dì AIDS a sessant'anni, dopo un'intera vita passata a nascondere la propria bisessualità, arrivando a sottoporsi persino a delle terapie sperimentali di conversione; nove anni dopo invece la moglie Barry Berenson ebbe la sfortuna di trovarsi sul volo American Airlines 11 che si schianto contro la Torre Nord del World Trade Center. Perdere il padre a diciott'anni, per poi diventare orfano a ventisette, è uno smacco ben visibile nei suoi film, e già questo, unito alle sue capacità, rende aprioristicamente questo The monkey un film con un cuore grande così.
Come potrebbe non esserlo una pellicola che parla, nella maniera più scanzonata possibile, di morte, elaborazione del lutto e di riappacificazioni familiari?
Il lungometraggio possiede quella follia che Perkins aveva ben dimostrato di possedere, stavolta libera di non lasciare prigionieri. Certo, tutto molto bello, ma andrebbero fatte prima un paio di specifiche sulla questione.
Il talento da solo non basta. Ok che qualcuno disse di preferire la fortuna, però per quanto la maestria di Perkins come regista si veda in tutto e per tutto, da come vengono presentati personaggi fino alle invenzioni di montaggio per le morti più nonsense della stagione, il genere che si vuole trattare deve sottostare a delle regole ben precise. The monkey di sicuro non vi annoierà perché il ritmo è sempre sostenuto, si prende i suoi momenti per far ambientare lo spettatore ed ha un continuo crescendo con la sua follia.
Il problema è che le singole parti funzionano più dell'insieme.
Il ragazzo disinteressato di Not another teen movie non è propriamente a suo agio coi toni più ridanciani con cui ha voluto approcciarsi e, va detto, già precedentemente si era dimostrato un narratore eccelso ma uno scrittore ben poco affidabile. Se Gretel & Hansel peccata di un twist finale piuttosto confuso (gli zombi, poi?) la precedente fiera del black metal banalizzava la forza alla base con quell'escamotage vagamente riduttivo.
The monkey dura appena un'ora e mezza, il minutaggio perfetto per i neo-boomer come me che prendono sonno in fretta, ma si ha la sensazione che manchino alcune parti. Abbiamo un prologo che si mangia una fetta piuttosto grossa della sua lunghezza, tanto che a una certa ho pensato fosse ambientato in quel periodo, a discapito della "vicenda adulta" che arriva magari ben approfondita nelle dinamiche che coinvolgono i due fratelli, ma di una durata così ridotta da apparire monca in diversi punti.
Questo non toglie potenza alle sue sequenze, non inficia il valore di quanto Perkins ha voluto comunicare con quella coppia di coglionazzi e il loro confronto finale strappa una vaga lacrimuccia, seppellendola subito dopo con un assurdo esagerato che sarà il marchio di fabbrica di questo film fino alla fine. La sensazione di trovarsi di fronte a un potenziale non sfruttato fino in fondo, però, rimane, al netto delle innegabili qualità sfoggiate da questo mattacchione che, soavemente, ci ricorda come prima o poi saremo tutti sepolti da una risata.
Per quanto imperfetto, opere che vanno fuori dai binari e che non hanno paura di spruzzarla fuori dal vaso da queste parti verranno serpe elogiate a prescindere. Qui abbiamo un film che, se siete matti quanto basta, vi divertirà comunque un sacco.
Per il resto...
Ma il protagonista è quel bietole di Theo James?
RispondiEliminaEsatto, proprio il divergente 🤣🤪
EliminaVolevo dire bietolone,managgia
EliminaSei riuscita a farti capire lo stesso. Anche quello è un talento 😬😉
EliminaRegista che mi piace, ma non troppo. Stilisticamente lo trovo sempre grandioso, ma i suoi film mi sembrano tutti delle occasioni perse. Questa volta, non prendendosi troppo sul serio, mi potrebbe piacere!
RispondiEliminaStupisciti... La pensiamo uguale!
EliminaPurtroppo la sensazione è rimasta pure qui, per me. Però nonostante tutto ci si diverte parecchio.
Di tutti i film che ha fatto, alla fine quello pazzo in culo con la scimmia senza piattini (forse per via di ingerenze disneiane) è il più sentito e personale del regista, incredibile, per me è già il mio piccolo culto dell'anno e poi vabbè. SIMMIA, che gli vuoi dire? ;-) Cheers
RispondiEliminaUn Classido già solo dal titolo 😂🤪 in più è oggettivamente fatto benissimo.
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