THE SHROUDS - SEGRETI SEPOLTI, di David Cronenberg
Alla luce di questo rapido nozionismo è sufficiente leggere la trama per capire cosa abbia ispirato il filmmaker, rendendo Les linceuls una delle pellicole forse più personali della sua intera filmografia.
Nel mio piccolo di recensore dilettante ho sempre cercato di analizzare ogni opera col terzo occhio del distacco. Al netto di eventuali contesti sociali e ambientali in grado di illuminare circa l'interpretazione, sapere quello che l'autore ha attraversato durante la lavorazione o la stesura non deve essere motivo per dare alla sua produzione meriti che non possiede o un qualche valore aprioristico. Anche di fronte a casi estremi come questo, per quanto iniziare la visione consci delle implicazioni possa inficiare sul giudizio finale.
L'unica cosa che l'aneddotica può fugare è quanto quest'opera sia stata realizzata sull'onda di una vera necessità, poiché nata da una particolare esigenza di esprimersi o di metabolizzare quanto accaduto. Von Trier ha sempre detto che l'artista deve soffrire per tirare fuori da sé il meglio, ma spesso può succedere che il fautore della materia non sia comunque pronto, anche se la sofferenza può dare la giusta miccia. L'eco che sentiamo dentro di noi però non sempre riverbera all'esterno alla stessa maniera...
È quello che ho pensato durante la visione del film. Un'opera che, nonostante non mi abbia convinto fino in fondo, ha dimostrato ulteriormente come a ottanta anni suonati il buon Davidino pisci ancora in testa a tanti giovinastri, realizzando una pellicola che, per quanto imperfetta, risulta ancora oscura, morbosa e totalmente indifferente al senso del ridicolo.
Cronenberg sa quello che fa. Non si è mai rammollito negli anni, lo ha già precedentemente dimostrato col fin troppo bistrattato Crimes of the future, da molti ritenuto un contentino del regista ai suoi fan della prima ora, qui però pur rimanendo fedele al sé stesso di sempre evolve ulteriormente tutto il suo discorso sulla carne, il corpo e la sua consistenza.
Les linceuls non è tanto un film sulla decomposizione, come ci si potrebbe aspettare da lui, quanto un saggio sul lascito rimasto nei propri cari dopo la dipartita. Per questo è volutamente incompiuto, come a suggerire che nessuno può riempire il vuoto di una persona perduta.
Capitanato da un Vincent Cassel che richiama il nostro in tutto e per tutto (è stato agghindato per somigliare il più possibile a Cronenberg, taglio di capelli incluso), il canadese dirige l'epitaffio definitivo su un dolore mai lenito, l'ammissione di una pace che non verrà mai, senza però scendere nel patetismo o reclamando aiuto. Quello che colpisce in questo film, al di là del risultato, è che la sua disperazione è appena sussurrata, come se, senza rinnegare quell'abnorme matassa di dolore che si porta dietro, la si abbia in qualche maniera accettata. È una dicotomia fortissima che caratterizza l'andazzo di tutta la pellicola, rendendola quella strana bestia che Cronenberg cerca di sezionare al proprio meglio.
Nel mezzo degli strani intrighi di potere, teorie del complotto, terrorismo informatico e torture della mafia. Parte come un dolente dramma venato con schizzi fantascientifici per proseguire come una specie di thriller dai rimandi hitchcockiani, in costante bilico sul voler essere troppo e quel senso di "non concluso" di cui sopra.
Ogni svolta di trama non porta mai da nessuna parte perché una vera e propria soluzione non c'è. Rimangono quelle visioni con la Kruger, così familiari al cinema cronenberghiano eppure così distanti vista la loro natura, che enfatizzano ulteriormente il dolore vivo che permea tutto il film. Ma spiace che sequenze così estreme in gradi di diventare di bellezza sublime in quel finale magnifico non valorizzino appieno un film che, al di là delle mancanze volute, non affonda mai la lama come dovrebbe nel suo proseguo - tanto da farci domandare se ci fregava sul serio di diverse rivelazioni fatte durante il percorso.
Lascia un forte senso di impalpabilità non voluta, come qualcosa che sia sfuggito al controllo del suo creatore, e in questo marasma di giri a vuoto, il vero vuoto mi è sembrato in un discorso tirato avanti troppo per le lunghe, disperso nelle mille diramazioni che intreccia con la sua fin troppo placida calma, ma comunque capace di dare degli scossoni che solo ai grandi maestri riescono.
Perché Cronenberg lo è e ce lo ricorda in ogni momento. Anche in casi come questo.
La sensazione è stata quella di un dolore non ancora del tutto metabolizzato ma che, in qualche modo, doveva uscire. E che quel patimento si senta nonostante tutto è un pezzo di arte a sé.
Grazie David per esserti confidato con noi.
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