CRUMB CATCHER, di Chris Skotchdopole

I neo-sposini Leah e Shane, lei pubblicista editoriale e lui scrittore al proprio lanciatissimo esordio, stanno trascorrendo la loro luna di miele in una villetta affittata sperduta nei boschi. Quando un invadente cameriere irrompe nell'abitazione per proporre loro un affare...

Qualora voleste chiedermelo, non so proprio come io sia venuto a conoscenza di questo film. So però che, come successe con Pamfir, ad attirarmi era stata la locandina. E in un'epoca di faccioni incollati a caso con Photoshop su uno sfondo che più generico di così non si può, un poster cinematografico in grado di distinguersi dal comune anonimato per me è sempre il benvenuto.

Certo, l'importante è sempre il film - la copertina de Il giovane Holden insegna, a tal proposito. Ma in ambo i casi citati abbiamo comunque a che fare con delle pellicole meritevoli, sulle quale c'è più di una cosa da dire, fortunatamente.

Crumb catcher (letteralmente, il raccogli-briciole) non è tutto poster e distintivo, e il fatto che come l'ucraino sia un esordio, nel suo piccolo mi rallegra.

Mi avvicina le estremità della bocca ai padiglioni auricolari perché la sua natura di opera prima si odora in ogni fotogramma. C'è quella particolare voglia, anche piuttosto ingenua ed inesperta, di osare e spingersi oltre, la qual cosa è posseduta, al di là dell'effettiva riuscita, solo da chi si appropinqua a compiere il primo passo in quella che è la propria passione - fateci caso, persino Spielberg non ha più saputo replicare quel misterioso e oscuro nonsoché di Duel.

Certo, i margini di miglioramento ci sono e piano paino ci arriviamo, ma che al suo primo round dietro la macchina da presa tal Skotchdopole abbia saputo tenere una presa tanto ferrea sui singoli elementi un poco mi ha sorpreso.

Un esempio? Beh, la parte centrale si svolge per un'ora in una casa con solo quattro attori a muoversi tra le mura, senza che la tensione cali. 

Non è poco, specie nell'economia narrativa di un film che si presenta come un atipico home invasion da far invidia a Bertino, il quale già mi ha reso impossibile vedere le caprette come prima, per dipanarsi come una black comedy da camera (anche se sono in soggiorno... ok, la smetto) rivelatoria, dove a dover essere gestiti sono i registri retorici e registici. 

Insomma, penna e occhio che si sposano felicemente, dando origine a una guerra tra le parti già anticipata in quel breve prologo.

Una sequenza semplice, dominato da quel matrimonio tanto fastoso nel quale avviene un significativo scambio di dialoghi, abbastanza importante da inquadrare lei, decisa e abbiente, dedita a un progetto in cui crede fermamente, e lui, di estrazione sociale molto più bassa, con una famiglia disastrata alle spalle di cui vengono accennati solo pochi significativi elementi, suo malgrado "marionettizzato" in quell'opera così personale ma prossima a un'esibizione forse non richiesta.

In tutto ciò, l'isolamento di una notte di nozze e quel cameriere truffaldino dalla logorrea incipiente.

Il regista e sceneggiatore Chris Skotchdopole ha ribadito più volte nei vari festival che questo suo film è una parodia del sistema capitalistico americano, e l'affermazione offre una validissima chiave di lettura per tutta (l'ottima) prima parte, dove sono proprio i discorsi sul commercio, l'idea tanto assurda e nonsense della proposta fino alle dinamiche di potere tra le due coppie a smuovere la trama.

Proprio per questo il film sembra, più che quanto detto dall'autore, un piccolo saggio sul potere, sul tenere le redini e il muoversi nelle situazioni poste nei vari passaggi della vita. C'è un gioco d'insieme non indifferente tra l'aggressiva risolutezza di Leah e la remissività di Shane, tra l'insistenza del cameriere gaglioffo e i modi della di lui compagna, complice e vittima al tempo stesso. Si tratta di qualcosa di così sottile da rendere l'equilibrio perennemente precario, aleggiando nel difficoltoso campo dell'ambiguità.

Proprio per questo il ritmo così ottimamente calibrato nonostante si tratti di chiacchiere ininterrotte sembra tanto miracoloso, specie vista l'inesperienza del regista, qui giù maturo nella gestione dei suoi attori e nelle dinamiche geografiche di spazi così ristretti. Da quel pinto dio vista, chapeu!

Poi la trama è costretta a mostrare la ciccia che la compone, dal luogo fisso ci si deve muovere e qui arrivano alcune piccole banalità su un discorso che poteva ampliarsi intrigantemente, ma che resta legato solo a quanto prevedibilmente possiamo vedere. 

Non necessariamente un male. La struttura rimane solida e compatta, coerente con le proprie intenzioni e con una tensione che fino agli ultimi minuti non accenna a smorzarsi, ma viene da chiedersi se con un po' di stoltezza in più (ancora di più!) il nostro non avrebbe potuto spingersi ancora oltre, osando l'inosabile e bucando davvero lo schermo con un esordio davvero fuori di testa. Tutto sommato, possiamo tranquillamente dire che ci è andata comunque di lusso.

In tutto ciò, un plauso all'attore John Speredakos, vero mattatore che tiene sulle spalle intere sequenze con il suo sinistro lerciume giocondo. Se il film nelle sue parti riesce così bene, inutile negarlo, gran parte del merito va anche a lui.

In quanto a Skotchdopole, entra a pieno diritto nella classe di quelli che devono stare attenti alle cattive compagnie. È possibile aspettarsi grandi cose da lui.






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