COMPANION, di Drew Hancock
C'è poi la terza opzione, quella di mettersi sulla scia del vincitore. Sembra stupido, ma è una posizione che nell'arte ha permesso a tutti quelli "arrivati dopo" di sfornare ugualmente dei capolavori.
Un po' risponde all'eterno principio dell'arte che si auto-alimenta, e l'esempio più lampante e pop può essere quello delle (ormai) sorelle Wachowski, arrivate dopo Ghost in the Shell ma ugualmente in grado di traslare quei concetti secondo la loro sensibilità, ottenendo Matrix - e scansando Will Smith come protagonista.
Companion giunge in un'epoca dove si sta arrabattando molto sull'intelligenza artificiale a fronte anche di una cinematografia che sugli ingranaggi ha sproloquiato abbastanza, da Terminator a Ex machina, e qui mi fermo perché ai fini della trama (anche se poster e trailer hanno spoilerato abbastanza) sarebbe lecito non sapere una beneamata su quello che stiamo per guardare.
Sempre a proposito di automati, Drew Hancock col proprio esordio deve tener conto anche dell'uscita di Barbie e dell'onda lunga tematica che quel rincoglionimento di massa ha comportato a favore del tema importante™ di turno.
Ormai senza tema importante™ non sei nessuno.
Qui abbiamo l'emancipazione femminile. Che non è assolutamente un male, ma sono questioni che forse andrebbero trattate solo se si ha veramente qualcosa da dire sull'argomento, altrimenti il rischio di rendere tutto didascalico (che è diverso da "accessibile a chiunque") o tratteggiato col pastellone dalla punta grossa è dietro l'angolo. E questo non fa proprio un gran bene alla causa, qualunque essa sia.
Companion ovviamente appartiene alla categoria dei temi importanti abbozzati™, il che è un vero peccato perché cinematograficamente non farà faville, ma si tratta di una pellicola divertente, intrigante QB e realizzata anche con un certo gusto non indifferente. Però è proprio quando cerca di "elevarsi" che il castello di carte cade, e pure piuttosto sgraziatamente...
Tipo il cattivo. Che deve essere per forza un uomo e, perlopiù, idiota. Posto che lo siamo di natura.
Questa caratterizzazione non vanifica bellamente la ribellione della protagonista? Perché il gagliardissimo personaggio principale femminile così raramente deve confrontarsi con un pezzo grosso, veramente integrato nel sistema che la assoggetta, e stravolgere direttamente la società dall'interno? Non so, credo che tutti voi non vogliate vincere contro vostro cuginetto sullo slittino, ma contro Alberto Tomba, piuttosto. Anzi, contro Federica Brignone, così siamo inclusivi.
Tra l'altro, nell'elencare poi tutte le questioni che rendono il Giancoso basico di turno un soggetto così deprecabile, bisogna per forza aggiungere la sindrome del micropene. Perché siamo un po' tutti il patriarcato (per fortuna non viene mai nominato) di qualcun altro, e i concetti di virilità maschilista vanno condannati solo quando lo vogliamo noi, e che diamone!
Qui non si raggiungono le bassezze di Don't worry darling, se non nelle campagna marketing.
Con questo non voglio fare quello che dà contro il femminismo a prescindere (mi sarebbero potuti piacere altrimenti film come Ritratto della giovane in fiamme, Una donna promettente o, e prima poi troverò il coraggio di parlarne, L'Événement?), ma davvero il senso che traspare da questa pellicola è che anche al 100% delle proprie possibilità, una donna da sola non riuscirà comunque a combinare nulla. E non perché la società non glielo permette, ma proprio per incapacità personale.
Capite ora perché i film bisogna saperli scrivere?
Senza contare tutti gli altri temi bellamente ignorati. Tipo... il consenso va preso in considerazione anche da parte di un soggetto artificiale? Fino a quanto si dovrebbe spingere esso? L'identità è da intendersi come materia propria dell'essere vivente oppure come acquisizione costante, a prescindere dalla propria origine? Sono questioni che per come la tecnologia si sta spingendo, prima o poi dovremo affrontare.
Non lo fa di certo il film, anche perché non è suo compito. Però oltre all'ora e mezza (dannazione, la durata perfetta!) passata in allegria con ritmo e brio, mi sarebbe piaciuto vedere queste tematiche affrontate col giusto peso, anche con la leggerezza che si confà a un prodotto simile.
Che di certo non è brutto, ma un minimo di amarezza in bocca lo lascia per la grossa occasione mancata.
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