MANIAC, di William Lustig
Perché siamo tutti bravi a sgrillettarci su accoppiate come Cattet/Forzani o Bustillo/Maury, ma ringraziate il cielo che siete su questo palco e ringraziate chi vi ci ha portato dentro...
Maniac fu un film che aggiunse un tassello inedito al genere slasher, perché oltre agli sgozzamenti da drive-in e tutto il resto, provò a mettere al centro dell'insieme la psicologia del protagonista. Lo squartamento non era più il fine dello spettacolo, quanto l'addentrarsi nella mente dell'esecutore per descrivere una vita finita ancora prima di iniziare, a contraltare di un degrado urbano che attraversò l'America degli Anni Ottanta.
Leggendaria è anche la sua realizzazione, perché William Lustig frequentò la scuola di cinema solo per poche settimane, facendosi i corpi cavernosi le ossa come montatore di film porno - attività che, a detta sua, gli insegnò più di mille altre lezioni. Galeotto fu l'incontro con Joe Spinell, di cognome e di fatto, scoprendo che avevano la comune passione per l'horror e il desiderio di girarne uno insieme. Spinell poi si era infrattato con le store di serial killer, scrivendo di suo pugno la sceneggiatura, basandosi sugli studi fatti sulle vite di veri serial killer come the Son of Sam e Henry Lee Lucas.
Non fu da meno la realizzazione. Non riuscendo a trovare i fondi, Lusting inviò alla Screen Actors Guild una versione più estrema della sceneggiatura, in modo da farlo classificare come film pornografico e liberarsi di alcune tasse obbligatorie, senza contare che girarono perlopiù senza permessi, pertanto gran parte del film è un continuo "buona la prima". Tutte cose che da una parte tolgono, inevitabilmente, ma che dall'altra aggiungono fascino a una pellicola morbosa e ancora oggi estremamente impressionante.
Riuscirono però ad aggiudicarsi una leggenda vivente come Tom Savini agli effetti speciali, solo che per sopperire alla mancanza di fondi dovettero riciclarlo come attore per una sequenza - girata con un fucile vero e che causò agli assistenti qualche grana legale nel momento in cui dovettero girare con una vettura lercia di sangue finto.
Tutto questo, per un film che alla propria uscita fu pernacchiato sonoramente, attirando però gli elogi di un certo William Friedkin, forse lo avrete sentito nominate, senza contare che tutto quel dargli addosso creò un morboso interesse nei confronti della pellicola che in breve divenne un cult.
Visto oggi, invece...
Diciamo che il tempo è galantuomo e, se in diversi circuiti ancora tiene botta, è per motivi più che validi. La sceneggiatura è obiettivamente ripetitiva, difetto che caratterizza diverse pellicole di questo tipo, e la schematicità si ripercuote su una durata quasi irrisoria. C'è poi la povertà di mezzi di cui sopra, che stranamente va a vantaggio di una pellicola con diversi limiti ma tanta voglia artigianale di mettersi in gioco.
Credo che un senso di squallore simile sia stato restituito in tempi recenti solo da film come Il mostro di St. Pauli e, andando su titoli molto più radical pippaioli, basterebbe citare Alleluia di Du Welz, che tanto merito trovò dall'uso di necessità della pellicola 16mm che diede al suo film un'atmosfera quasi a sé.
Eccezion fatta per Spinell e Caroline Munro, il film non può vantare per ovvie ragioni attori di grido. Molti figuranti furono addirittura colleghi del mondo pornografico di Lustig, come la leggendaria Sharon Mitchell (fun fact: nel film interpreta un'infermiera, ma nella vita reale acquisì un dottorato in farmaceutica e aprì una struttura medica che si adoperava per controllare gli attori porno, struttura che poi venne chiusa dopo un'indagine legale) e tutto quindi è legato all'interpretazione e alla fisicità del protagonista.
Nonostante la pochezza di mezzi, il film risulta sempre efficace, in grado di inquietare e di mettere sotto una luce (peri)patetica il protagonista, senza mai giustificarlo ma cercando di far empatizzare il pubblico con lui e la sua sofferenza, il suo disagio mentale, che si accompagna col degrado ambientale che lo circonda.
Tutto è torbido e squallido, non c'è nulla che lasci un senso di pulito addosso. Il film è da intendersi come un trip nella mente di una vita alienata, finita e condotta ai margini della società. La sua forza sta in questo, oltre che nell'efficacia degli effetti e degli strumenti con cui riesce a mettere tensione, lasciandosi andare anche a due momenti finali decisamente lisergici che aggiungono valore a una pellicola stramba, sghemba, forse persino profondamente sbagliata in alcuni momenti ma che si ritaglia una spazio personalissimo in quello che fu un filone fondante degli Anni Ottanta.
E lui - loro - la aprirono dal basso, senza spocchia ma con solo la voglia di fare che ha caratterizzato un'epoca che, al di là di facili nostalgicismi, non tornerà più..
Forse più importante che bello, e la scena finale è oggettivamente qualcosa che non aggiunge nulla a quanto mostrato prima. Però esplorò territori inediti nei quali prima nessuno aveva avuto il coraggio di addentrarsi.
Il rifacimento per me è deficitato solo dall'accaddì, che inevitabilmente lo rende molto fighetto, e da attori troppo belli. Ma stupisce su quelli tecnici... Insomma, ne parleremo 😁
RispondiEliminaMolto d'annata, comunque mi manca, e nel suo essere marcio la visione potrebbe valere.
RispondiEliminaVale tantissimo!
Elimina