IL GIOCO DEL DESTINO E DELLA FANTASIA, di Ryūsuke Hamaguchi

 
Tre storie di amore agrodolce. Nella prima, una ragazza scopre che la sua migliore amica esce con un suo passato amore mai dimenticato; nell'episodio centrale, uno studente organizza una trappola erotica per vendicarsi di un professore che lo umiliò; nell'episodio finale, dopo un virus informatico che fa decadere internet, una donna mascolina crede di incontrare un'amica che non vede da vent'anni, l'unica mancante a una rimpatriata tra compagni di scuola e l'unica che avrebbe voluto rivedere... 

L'arte è come il tempo: variabile.

'Sta sonorissima supercazzola però serve a fare un discorso veramente serio. Non esiste "un'arte giusta", spesso entrano nella variabilità del giudizio una serie di fattori, tra cui anche il gusto personale e la sensibilità del critico o spettatore. Non siamo tutti uguali, ci sono esigenze che alcuni sentono più di altre... spesso anche il momento in cui si guarda un film può essere semplicemente quello sbagliato.

Vabbeh, credo abbiate capito dove voglio andare a parare... 

Ryūsuke Hamaguchi è un quasi-giovane regista nipponico che surfa allegramente sulla cresta dell'onda. Se siete tizi che scopano poco ben integrati nell'ambiente cinefilo dell'internet, avrete sicuramente sentito il suo nome perché nel 2021 uscì con la bellezza di due film, questo e Drive my car. L'ultimo era superfavorito per la Palma d'Oro - andata poi a Titane - mentre con questa pellicola a episodi si "accontentò" del Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino.

Siccome passato un Kore'eda se ne fa un altro, al momento il nostro gode di una popolarità molto accesa nei salotti che contano e proprio ai salotti ci riporta il suo cinema, fortemente debitore di quella nouvelle vague francese. Non a caso è definito il Rohmer nipponico, e qui cominciano dei piccoli problemi col sottoscritto...

Dicevamo appunto che non esiste un'arte giusta.

Ecco, io non nascondo che non mi sono mai strappato i capelli per l'onda d'oltralpe e che quando vidi tutto il ciclo delle stagioni di Rohmer dovetti andare avanti a pane e Michael Bay per una settimana. D'altronde a me piace un cinema più sanguigno, che fa della pesantezza del concetto una sua meta specifica e...

Sentite, tagliamo la testa la toro. A guardare questo film mi sono fatto due coglioni quadrati.

Non posso farci nulla, ogni singolo fotogramma di questo film mi ha irritato pesantemente e arrivato a metà ho sentito il forte bisogno di spararmi nuovamente la Snydercut. Dovessi mettere questo film in una ipotetica scala, sarebbe a metà strada tra quelli che vogliono sembrare intelligenti rivalutando i cinepanettoni e quelli che si fanno il profilo di coppia. Ora che ci penso, credo che pure le canzoni di Tommaso Paradiso mi pesino meno di 'ste tre mandruppate.

Sicuramente sarà un limite mio, ma l'unica cosa che è riuscito a trasmettermi è stato un interrogativo: perché sto guardando questo film?

Tre storie dalla partenza in sordina e dallo sviluppo banalissimo. Si parte con un triangolo da teen movie, una trappola sessuale tra le più frigide e un incontro/rivelazione di cui avrei fatto benissimo a meno. E va avanti così per tutto il tempo, incessantemente, per un'ora e quaranta, durata che ho sentito tutta e che al proprio interno ha tutto ciò che detesto di un certo tipo di cinema.

Perché questo è un cinema dei non detti, dei finali agrodolci e delle mosse suggerite, che parla del nostro presente e del modo di intendere l'amore e le sue derivazioni, nella complessità di una realtà sempre meno a misura d'uomo e che lascia poco spazio ai sentimenti.

Io non se a forza di spararmi roba come Taxidermia o Begotten mi si sia creato qualche danno neuronale, ma non riesco a capire cosa ci abbiano trovato tutti in questo film. Non mi aspettavo stupri e squartamenti, ma qui siamo di fronte a qualcosa che proprio non riesco a digerire. E non per i dialoghi che a tratti si trasformano nella fiera delle cringiate - in realtà, conoscendo società e filosofia nipponici, ciò che a noi stona per loro rappresenta una certa conformità sociale - ma proprio per qiesto suo voler a tutti i costi essere trattenuto ed elegante che ti fa implorare a gran voce che si sbottoni al più presto.

Perché sì, è un film elegantissimo, ma solo quello.

Oltre all'eleganza delle singole inquadrature, non c'è altro, se non l'immobilità della mdp. E se un film che punta sui sentimenti, sulla passione che reclama la propria libera espressione e la tentazione di abbandonarsi ad essa anche a costo di fare ciò che potrebbe essere moralmente sbagliato... beh, se tutte queste cose vengono espresse con un formalismo da clausura, per me ha fallito su tutta la linea.

Colpa ancora più grande: hai un'attrice bella come Katsuki Mori, la fai stare in reggiseno e a leggere porcate per quasi tutto il tempo senza che allo spettatore solletichi nulla. C'è chi ha pagato il conto alla legge per molto meno.

Ripeto, sicuramente sarà colpa mia, della mia ottusità che mi ha impedito di vedere tutta la bellezza che sembra aver convinto quasi tutti. Ma la storiella del film che si svolge come una partitura... boh, forse per me sarà "troppo", non so. 

Tra l'altro, il film dopo è pure tratto da un racconto di Murakami. E non Ryu...






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