INEXORABLE, di Fabrice du Welz

Marcel è uno scrittore reduce dall'enorme successo del suo primo libro, Inesorabile... successo che lo attanaglia e costringe in un blocco creativo. Quando la giovane Gloria si presenta nella sua vita, sconvolgerà gli equilibri della sua famiglia e...

Iniziare col botto è sempre un gioia, ma può un trasformarsi anche in un grosso problema. Vai tu a mantenerti sugli stessi livelli, e se ce la fai telefona a du Welz. Quello dopo Calvaire ha tenuto botta con Vinyan, ma poi... ecco, diciamo che quei due macigni sono lì che gli fanno ditino-ditino e da allora sta cercando una sua personale cifra stilistica.

Che vuol dire?

Che quando ti chiedono se ti piacciono i suoi film, devi dire "Oh, 'na cifra!". Ma stilistica.

Comunque, è innegabile abbia avuto un esordio che inc*la tutti i santi, Marc davanti e dietro tutti quanti, tantoché a quel titolo seguitò la sua Trilogia delle Ardenne con Alleluia e Adoration. Non contento, però, ha usato gli stessi ultimi titoli del triello per completare un altro trittico, quello di Gloria, giacché le protagonisti femminili condividono quel nome.

Dalle Ardenne alle Danne, quindi, dato che questo nuovo tris è incentrato sulla figura femminile e sulle relazioni. Morbose, altrimenti non saresti belga o autoriale che dir si voglia (ma potresti benissimo essere coreano...), tutte incentrate a ribaltare il comune senso di percezione romantica, sia essa sociale che personale. 

Se nel coro Gospel, attingendo da un fatto di cronaca riportato (in inglese) dal titolo nostrano, si parlava del bisogno di avere a tutti i costi una relazione e della tossicità della stessa, a seguire è venuto un devenir majeur condito di devianza che girava su sé stesso, trasformandosi in macabra parodia del genere.

Mancava solo l'omaggio al cinema ispiratore.

Nulla di male di per sé, eh. Solo che spesso queste operazioni si dividono in due frangenti precisi, da una parte l'autore navigato che al massimo della propria popolarità e maestria attinge da tutte le pellicole che lo hanno ispirato fin dagli esordi, dall'altra... è l'equivalente della rockstar che fa l'album di canzoni natalizie. E se ve lo steste chiedendo, no, non è un bene - mai visto Love actually?

Du Welz quindi stende questa lettera d'amore nei confronti del fine carriera di Claude Chabrol, adattando gli stilemi di un certo thriller d'oltralpe che sul morboso, sul senso di colpa e sul peso del passato (o sul suo ritorno) ha fatto il proprio perno narrativo, intessendo una vicenda rodatissima che da quei binari non si discosta più di tanto.

Un male?

Diciamo che le brutte intenzioni e la maleducazione non bastano ad affossare anche il più tranquillo dei film, quanto come lo fai... che spesso conta più del cosa.

Questa è la primissima lezione di ogni scuola di narratologia che si rispetti. Du Welz quindi imbastisce una storia che sa di già visto, viaggia su binari sicuri e mette in scena tutto con la sicurezza di un autore che ormai non è più uno sprovveduto e sa dove posizionare la macchina da presa. Anche senza esplosioni e salti mortali, il film, nella sua lentezza, mantiene coerenza e non annoia mai, ma non basta questo a far breccia.

Non è la mancanza di un coup de théâtre a farsi sentire, ma l'assenza di un vero scossone - lecito aspettarselo da un regista così - dato che ridefinisce poco e quello che mostra è una strana accozzaglia di cose già viste. E da un nome come du Welz credo sia lecito aspettarsi qualcosa in più, quando non ci sono di mezzo le solite ingerenze produttive. 

Alla fine cosa mi porto dietro di questo film?

Una scena di morsi che per un attimo ti fa sperare di rivedere gli antichi fasti che furono, ma poi anche la delusione non solo di aver previsto il famigerato plot twist, ma che a quello segue davvero poco altro, nonostante i temi messi sul tavolo.

I legami familiari, la fallacità degli stessi, il rapporto con l'arte... tutte cose che da sole sarebbero bastate per un solo lungometraggio, qui invece abbiamo un bignami dei topoi "scomodi" dell'autore-tipo, però ridotti a una mera superficie, riuscendo a far passare inosservata anche una componente incestuosa non da poco.  

Il danno maggiore di questo film è il riuscire a scorgere la firma di una persona in grado di rendere proprie certe tematiche e una morbosità di fondo (la cifra stilistica di cui sopra) ma vederla procedere con un pilota automatico davvero snervante, per un film che avrebbe voluto essere ispirato ma rimane solo uno sterile esercizio riempitivo.

Si cita implicitamente Chabrol e si respira anche qualcosa dell'Ozon più oscuro, ma alla fine, in questo rimando ai maestri ispiratori, l'unica cosa che resta è Shakespeare.

Tanto rumore per nulla.

Anzi, il rumore non è nemmeno troppo.







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