ADORAZIONE, di Fabrice du Welz

Paul è un ragazzino molto particolare. Nella clinica psichiatrica dove lavora la madre arriva Gloria, giovanissima ragazza problematica, dalla quale è molto attratto. La aiuterà a evadere e fuggirà con lei in un rocambolesco viaggio che...

Non è facile quando sbanchi il tutto per tutto con il tuo primo film. A quel burlone di Orson Welles è seguita in tempi recentissimi gentaglia come Richard Kelly o Ben Wheatley. Anzi, sulla questione avevo scritto uno speciale, ma senza andare sul catastrofismo, diciamo che già per uno navigato è difficile realizzare film sempre all'altezza, figuratevi se quello con cui iniziate viene osannato. 

Pure il buon du Welz non ha saputo tenere botta al proprio esordio, anche se la sua non è stata una discesa, quando un chiedersi se la sua partenza non sia stata una botta di culo o cosa.

Diciamolo subito, Calvaire non è qualcosa da cui esci del tutto sano come semplice spettatore, figuratevi se siete quello che lo ha realizzato. E lo so che un percorso autoriale va valutato nella complessità e non nel superarsi continuamente, dato che le sfumature di un'opera attraversano infinite gamme... però oh, noi amanti del disagio quella volta siamo stati appagati come poche altre.

Che poi du Welz non è proprio caracollato - lui almeno non ha fatto una trasposizione/remake di dubbio gusto per Netflix - ha solo avuto una carriera sfigata e alla N rossa è arrivato con un film tutto sommato non da buttare. Ci arriveremo anche a quello, ma il fatto è che quella sua Trilogia delle Ardenne non ha fatto il botto che speravamo.

Perché comincia in quella maniera che ben sappiamo, e poi prosegue con Alleluia, che per quanto abbia dei notevoli picchi si concludeva con un nulla di fatto abbastanza palese. Poi arriva all'ultimo tassello e si complica tutto ulteriormente.

Il maschilismo tossico nel primo caso, e la necessita di trovarsi a tutti i costi in una relazione nel secondo. A du Welz piacciono le situazioni angoscianti, i personaggi borderline e vittime del contesto in cui si trovano. Ovviamente il capitolo conclusivo non poteva che iniziare in un manicomio per poi spostarsi nelle foreste delle Ardenne tanto decantate, per tratteggiare un coming of age atipico che se ci avesse creduto un po' di più sarebbe stato un Bones and all che ce l'ha fatta.

Ecco, Adoration (lo ribadiamo, lui stesso affermò in un'intervista che i titoli dei suoi film siano composti da una sola parola per pura casualità) è un film difficile da trattare perché per alla fine non comprendi se manchi effettivamente qualcosa o se sei tu ad essere stupido.

Non per nulla non mi ha annoiato per nemmeno un secondo, pur non avendo un ritmo proprio movimentato, ma alla fine ho avuto la sensazione mancasse qualcosa.

Sapete quando rimanete lì a fissare i titoli di cosa e l'unica cosa che riuscite a dire è: "E quindi?"

Ecco, per me questo film è un grosso E quindi? su larga scala.

Il che non vuol dire sia brutto, ma che arrivato alla fine l'arazzo che i fili compongono non è riuscito a entrarmi nello sguardo. Che può essere perfettamente dettato da lacune personali (d'altronde, è piaciuto a chiunque) ma anche dalle differenti sensibilità di chi guarda.

D'altronde l'amore è il tema più trattato e complesso da gestire e du Welz crea addirittura un fil rouge dando alla protagonista femminile lo stesso nome di quella del capitolo centrale della Trilogia - come a dire che tratta tutt'altra tematica ma che allo stesso tempo rimane nei lidi già conosciuti. Ma qui si parla, tra le altre cose, della manovrabilità e di come venga rielaborata.

Interessante poi come si invertano i ruoli ancora. E' l'uomo - sepolto in un contesto femminile - ad essere manovrato ed è la donna a tenere le redini di tutto questo macello, agendo sulla psiche fragile di Paul che svilupperà una vera e propria dipendenza nei confronti di Gloria.

Peccato però che a una certa il film giri in tondo e, nei loro (pochi) incontri, tutto si appiattisca senza avere i suggerimenti necessari per rendere l'insieme ancora più inquietante - arrivando al pistolottone finale che, se da una parte sa essere struggete, dall'altra leva molta potenza evocativa al tutto - fino a una conclusione troppo frettolosa e telefonata. 

Resta quel piano sequenza finale di bellezza assoluta, quell'abbandonarsi nel delirio che saluta il mondo e le sue logiche, ma non tiene degnamente tutto quello che nella sua linearità il film aveva aperto e non chiude i discorsi con la potenza necessaria - e quel particolare della madre di Paul resta appena accennato.

Non un brutto film, assolutamente, ma la sensazione di qualcosa che poteva spingersi ben oltre rimane. Du Welz rimane comunque un grande cantore di mente deviate e noi lo attendiamo la varco.

Teniamo il vitello pronto.






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