HAVOC, di Gareth Evans
Nulla che non sia perfettibile, chiariamoci, ma dopo una floscissima prima parte che ha diverse carenze di scrittura inizia il menare, e a quel punto la musica cambia decisamente.
Quel suo "secondo esordio" non solo rende Iko Uwais, prima fattorino per Amazon e campione regionale di lotta, la nuova stella del cinema di menare, ma posiziona Evans sulla cartina geografica di quelli da tenere d'occhio, perché un action diretto a quella maniera non si era mai visto prima.
Pochi anni dopo il nostro eroe se ne esce con il leggendario The Raid, dove prende tutto quello che aveva funzionato nel film prima e lo amplifica a dismisura. Il risultato è il grado zero del cinema d'azione, il nuovo risultato a cui tutti tranne Zack Snyder guardano per capire come si gira una scena di lotta, in barba a illogicità varie (ma come mai tutti combattono con un machete a sfavore delle armi da fuoco?), perché botte da orbi di quella entità prima si potevano solo sognare. È qualcosa che unisce pubblico e critica come mai prima, sposando con tutte le cerimonie l'essenza primaria del cinema, giacché si tratta di azione mossa unicamente dal movimento dei personaggi che con poche righe di dialogo dominano a suon di carisma ed evoluzioni.
Non contento, realizza un seguito del suo capolavoro seminale delle mazzate, The Raid 2, dove giocoforza è quasi costretto a costruire una parvenza trama. Pur con dei momenti di assesto, riesce a superare la stessa linea di demarcazione da lui stesso tracciata, realizzando qualcosa entrato nella leggenda.
I cazzi arrivano subito dopo...
Cosa fare quando per due volte consecutive alzi l'asticella dell'irrealizzabile, impresa riuscita solo a George Miller con Mad Max: fury road? Lì le cose si complicano, perché alla seconda medaglia d'oro in manrovescio carpiato Evans ha l'idea di cimentarsi in un altro genere, l'horror. Bussa a casa sua mamma Netflix in un periodo in cui raccattava registi a destra e a manca per rimpolpare un catalogo abbastanza annacquato, e il risultato è Apostolo, pellicola che pur con qualche questione di lana caprina ho decisamente apprezzato. Dello stesso avviso però non è il pubblico della piattaforma, dato che il film riceve più di una perplessità.
Preludio decisamente lunghetto per farvi capire la situazione filmica del nostro action-hero preferito, che ha dimostrato di essere un grandissimo quando le mazzate smuovono l'aria ma un po' meno quando si tratta di cimentarsi nella pure scrittura. Dopo quel suo delirio religioso per la N rossa, Evans si è occupato solo della gestazione di Gangs of London, atipica serie sulle cosche mafiose che ha l'ingrato compito seriale di affidarsi più sull'immagine che sullo storytelling, prima di ritornare dalla piattaforma per eccellenza in un film che è la quadra di tutta la sua filmografia.
Havoc vi darà tutto quello che volete quando pensate a Gareth Evans, tutto dipende però quanto siete familiari col suo cinema.
Visto come primo tassello della sua filmografia, sarà sicuramente una stairway per l'haeven della golden smash che ha scolpito nella ghisa, mentre se lo conoscete bene vi porterà in quello che io chiamo un "loop alla Guy Ritchie".
I film dell'ex signor Ciccone non vi danno l'effetto di quelle barzellette dove cambiando l'ordine dei protagonisti, quindi passando da Pierino a Giamburrasca, il risultato non cambia? Un The gentlemen non rispetta la stessa filologia narrativa di tutti gli altri suoi film, lasciando quel vago senso di già visto nonostante le innumerevoli inerpicate di scrittura?
Ecco, con Havoc più o meno succede una cosa simile.
Certo, non siamo più in Malesia ma a Londra, però la differenza si nota a malapena. Anche questa volta abbiamo un personaggio che deve combattere un "solo contro tutti" collettivo e sulle cui spalle giace tutta la responsabilità della riuscita. A differenza di Rama qui si cova un passato oscuro, ma nulla su cui ci si soffermi troppo e, diciamolo, tutto rimestato nel calderone del manuale di sceneggiatura basico. Per forza un male? Certo che no, il film fila in tutta scioltezza e l'azione resta al top come sempre, ma quando hai già arato i campi dell'Olimpo (e per ben due volte...) ogni cosa dopo sul medesimo ambito appare quasi riempitiva.
Piuttosto, saltano all'occhio maggiormente certe imposizioni della casa madre che in qualche modo inficiano lo stile, come testimoniano i numerosi set ricreati al computer, dei quali la prima sequenza rimane fortemente emblematica, così come alcune scelte di fotografia, per quanto minime. Sono piccolezze che danno un senso "plasticoso" ad alcuni momenti e che, proverbialmente, finiscono per cedere il fianco a quanto di artigianale è stato fatto nei capitoli precedenti a suon di stunt e cameramen con poca voglia di vivere.
Ma ripeto, Havoc rimane un film d'azione.
E da un action non mi aspetto si mettano a raccogliere margherite. Al massimo, le colorano col rosso delle interiora nemiche.
In due ore di trama canonica, con tanto di redenzione e recupero di genitorialità annessa, ci saranno botte da orbi, caricatori che non si ricaricano mai e, soprattutto, sicari armati di immancabile mannaia che entrano nei club, vero marchio di fabbrica del gallese.
Perché a noi il realismo ha rotto le palle!
E se voi volete sfogarvi con lo spettacolo più muscolare e violento, insomma, con tutto quello che ultimamente vogliono far passare come una colpa, allora questo è il film che fa per voi. Una dichiarazione d'intenti da prendere per quello che è.
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