BEATEN TO DEATH, di Sam Curtain

Jack e la compagna finiscono nelle mani di un loschissimo figuro, il quale uccide lei e massacra di botte lui. Ma una situazione già di per sé drammatica sarà solo la punta dell'iceberg di violenza che il povero gonzo dovrà affrontare nelle quarantott'ore successive...

Il film inizia in medias res con una scazzottamento decisamente sopra la medias. Curtain, a dispetto del suo nome, non si nasconde dietro paraventi e ti piazza la violenza a tutto schermo, con dovizia di particolari e sangue in abbondanza. Poi, con tutta l'eleganza tipica del macabro, pure un movimento di macchina retrocedente per farci vedere che ancora prima una se l'è vista pure peggio.

Non so voi, ma io ho visto inizi decisamente peggiori.

L'inizio è una dichiarazione d'intenti. Quello che vedremo da lì in avanti sarà un accumulo di violenza efferata, diretta alla grandissima e con una morbosità verso l'atto pratico non indifferente. A memoria recente non ricordo un personaggio principale più scalognato e vessato in poco meno di un'ora e mezza, roba da rivolgersi al sindacato dei protagonisti. Vi basti pensare che nemmeno a metà film il tizio viene guerciato con un coltello e i suoi aguzzini ne hanno ancora in serbo diverse per lui. Ma anche in croato e turco... vabbè, si parla molto poco qui, e a una certa ci va pure benissimo.

Verrebbe da chiedersi il senso di un'opera simile, ma qui abbiamo sempre difeso l'ultraviolenza artistica, ritenuta anche - se vista ovviamente da un pubblico consapevole, risolto e maturo - come un viatico al giusto sfogo essenziale per la vita umana. Chi ritiene tutto questo inopportuno, probabilmente si sta segando pensando al proprio post d'addio per Cormac McCarthy...

Certo, la violenza va saputa usare - nei film, nella vita fatene a meno. A Serbian film e quella botta da adolescente in crisi ormonale che risponde al nome di The sadness stanno lì a ricordarci delle merde che si possono pestare sul cammino. E può succedere quando si hanno due occhi, figuratevi se sei orbo...

Ecco, di merde Curtain ne pesta una soltanto, ma bella grossa, tanto che basta e avanza per tutto il film e si spalma comodamente da metà minutaggio in poi.

Da un film come Beaten to death non ci si aspetta molto, e forse proprio per questo restituisce con gli interessi per la prima parte. Ultraviolenza, avevamo detto, ma diretta con mano sapiente e, nonostante un budget visibilmente al minimo, dotata di un'attenzione al dettaglio quasi maniacale e una cura delle immagini degna di produzioni ben più blasonate. Basta poco per portare a casa il risultato e qui c'eravamo vicinissimi, poi però viene la voglia di strafare e tutto finisce in vacca. 

Risulta strano finire la visione di un film simile e sentirsi confusi, ma a una certa viene quasi naturale per il modo in cui gestiscono una faccenda così semplice.

Parte come survival horror, poi Curtain ci piazza dentro dei vaghi accenni a come il progresso lasci indietro le classi sociali più svantaggiate, immette il protagonista in un confronto con la natura che viene lasciato morire (ahahah!) così a caso e si inerpica su un comune senso di ineluttabilità del destino di cui si poteva comodamente fare a meno.

In più, siccome bisogna essere brillanti a tutti i costi, ci sta pure una narrazione atemporale per piazzare a caso dei flashback su come Jack e signora si siano trovati in quel casotto, con la sola soluzione di rendere le motivazioni quasi oscure e decisamente poco chiare, oltre ad uno svolgimento piuttosto blando.

Insomma, Coco Chanel consigliava di togliersi sempre qualcosa prima di uscire, perché less is more. La filosofia del torna a casa less fa bene anche in narrativa, a volte. 

Cosa dovrebbe offrirmi alla fine questo film? Non mi è chiaro, e dispiace visto con quanta cattiveria è riuscito a partire, inciampando su sé stesso in un guazzabuglio di idee confuse, pastrocchiate e gestite proprio alla carlona.

Viene da penare a Calvaire, a quanto sarebbe potuto essere brutto quel film se du Welz non avesse avuto le idee così chiare su come muoversi e sul tema portante della vicenda. Tutte cose che mancano a Curtain, purtroppo, anche se sul lato tecnico sembra in grado di offrire delle gioie non indifferenti per tutti gli amanti dell'efferatezza mostrata bene.

Invece no, sul finale piazza una roba tanto trash da farti ricredere anche su quello. 

Non discuto l'idea - a una certa perdi le speranze e ti fai andate bene tutto - ma la semplice realizzazione dell'allucinazione ospedaliera è quasi indegno del filmino delle vacanze. E con quella si chiude tristemente.

Restano giusto i bellissimi paesaggi della Tasmania che diventano quasi dei protagonisti non accreditati e una delle poche locandine decenti, quasi old school, degli ultimi anni, ma è una magra consolazione.

Comunque... non so voi, ma dopo i due Wolf creek, Hounds of love, The loved ones, Charlie's farm... forse i ragni giganti sono l'ultima cosa di cui ci si debba preoccupare in Australia.






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